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La conferenza multidisciplinare “La Strategia europea di Bioeconomia: scenari e impatti territoriali, opportunità e rischi” dello scorso settembre – patrocinata da società scientifiche e università – ha raccolto i contributi di storici, geografi, economisti, urbanisti, costituzionalisti, biologi, biologi forestali e medici le cui analisi hanno messo in evidenza una serie di criticità sulla base delle quali si può asserire che la Strategia di Bioeconomia della Commissione europea (del 2012 aggiornata nel 2018) e la conseguente Strategia italiana siano distanti dall’idea originaria di Bioeconomia teorizzata da Georgescu-Roegen, ovvero una bioeconomia compatibile con la vita e le leggi della natura.

La Strategia di Bioeconomia – promossa come la nuova frontiera dell’economia “verde” e basata sulla sostituzione delle fonti fossili con la biomassa – presenta forti contraddizioni rispetto agli stessi obiettivi che si pone, ovvero la riduzione dell’uso di fonti non sostenibili e non rinnovabili e della dipendenza dalle importazioni. La mera sostituzione delle fonti (che non prenda in considerazione anche la riduzione dei consumi di energia, materia e acqua) non solo non è sufficiente ma può essere dannosa. Questa si basa sulla produzione di biomassa su larga scala – e, quindi, sulla necessità di suolo fertile (sottratto anche alle foreste), acqua e input chimici – prodotta secondo il modello (e le logiche) dell’agro-industria che, come ampiamente dimostrato in letteratura, ha un forte impatto su ambiente, biodiversità ed economia territoriale. La Strategia, fondandosi sulla produzione energetica prevalentemente via combustione di sostanza biologica, compromette il recupero di questa per la compensazione dei suoli incidendo, così, sul clima a causa de bilancio di CO2 sfavorevole. Con riferimento all’Italia, è stata rilevata una stretta connessione fra la Strategia di Bioeconomia e il Testo Unico Forestale (TUF) del 2018, il cui impatto sul patrimonio forestale e la biodiversità appare piuttosto negativo. Con l’aggiornamento del 2018, la Strategia di bioeconomia si connette strettamente al processo di digitalizzazione (adeguamento alla Nuova Strategia di Politica Industriale 2017) aumentando esponenzialmente il fabbisogno di minerali essenziali alla produzione di alta tecnologia, come le terre rare che – oltre a non essere rinnovabili – sono fortemente impattanti per l’ambiente e la salute (ad esempio, la produzione di una tonnellata di terre rare genera fra 1 e 1,4 tonnellate di rifiuti radioattivi) e rendono, inevitabilmente, l’UE dipendente dalle importazioni (considerato che oltre il 90% delle terre rare sono prodotte in Cina).
Pertanto, la Strategia di bioeconomia risulta dipendente da risorse non sostenibili, non rinnovabili e dalle importazioni, motivo per cui richiederebbe una rielaborazione sistematica partendo dall’imprescindibile adeguamento alla Strategia europea sulla biodiversità, al Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) e ai piani di adattamento climatico.

Il Comitato scientifico ha elaborato un Documento di valutazione e indirizzo della Strategia europea e italiana di bioeconomia che esprime osservazioni e proposte che sono state presentate alla Commissione europea e al governo italiano e pubblicate sulla Rivista “Economia e Ambiente” e che è liberamente scaricabile dall’homepage del sito www.economiaeambiente.it