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La sezione veneta di Isde – Medici per l’ambiente ha organizzato un confronto pubblico nell’aula magna del centro polivalente di viale Tito Livio a Schio VI) sull’ipotesi che fanghi di depurazione essiccati con la probabile presenza di Pfas siano bruciati nell’inceneritore di Schio, nel quale sono intervenuti Laura Rossi, referente di Isde per l’Alto vicentino, Francesco Bertola (presidente di Isde Vicenza) e Gianni Tamino, membro del consiglio scientifico di Isde, biologo di fama nazionale e già docente all’Università di Padova.

Sulla serata la testata online VicenzaToday ha pubblicato questo articolo.


L’ipotesi che fanghi di depurazione essiccati siano bruciati nell’inceneritore di Schio e che questi possano contenere «i temutissimi derivati del fluoro noti come Pfas» è molto più che una eventualità. È una opzione che «potrebbe materializzarsi dietro l’angolo». Per questo il progetto sperimentale presentato da Viacqua e Alto vicentino ambiente (nota nel comprensorio come Ava), «due società a capitale totalmente pubblico per di più», non solo spaventa i residenti della città laniera, ma ha pure messo in ambasce la giunta comunale. La quale con l’assessore all’ecologia Alessandro Maculan durante un dibattito pubblico organizzato ieri 12 giugno al Faber box di viale Tito Livio ha sparato a palle incatenate sull’iniziativa propugnata dalle due multiutility beriche, che viene considerata, qualora prendesse forma, «oltremodo impattante sul piano ambientale».

I RELATORI
Teatro del confronto pubblico organizzato dalla sezione veneta di Isde – Medici per l’ambiente è stata appunto l’aula magna del centro polivalente di viale Tito Livio nella quale un centinaio di persone ha ascoltato tre relatori: Laura Rossi, referente di Isde per l’Alto vicentino, Francesco Bertola (presidente di Isde Vicenza) e Gianni Tamino, membro del consiglio scientifico di Isde, biologo di fama nazionale e già docente all’Università di Padova.

Durante il loro intervento i tre hanno descritto a tinte fosche il progetto sperimentale portato avanti da Viacqua (gestisce il ciclo idrico integrato di 68 comuni dell’hinterland della città del Palladio) e Ava (gestisce il ciclo integrato dei rifiuti nel comprensorio del Leogra). Hanno parlato della fumosità «e della scarsità dei dati forniti ad Isde». E soprattutto hanno bollato come irricevibile «una clausola di riservatezza» che in qualche modo garantirebbe l’accordo. Si tratta di parole molto precise che sono state accolte con trepidazione dai presenti. E rispetto alle quali le recenti rassicurazioni fornite da Giuseppe Castaman, presidente di Viacqua, ieri non hanno rasserenato gli animi bensì li hanno esacerbati.

PARLA IL PRESIDENTE DELLA SPA
Castaman al quotidano Vipiu.it non più tardi del 9 giugno 2023aveva dichiarato: «Allo stato attuale, Viacqua», la spa ha sede a Vicenza, «non ha in programma di avviare i propri fanghi di depurazione civile ad incenerimento presso l’impianto di Schio. Tuttavia, la società è intenzionata a proseguire la propria politica di riduzione dei fanghi prodotti attraverso procedimenti di essiccazione. A tal proposito nel 2026 è prevista la realizzazione di un primo impianto di essiccazione nei pressi del depuratore di Casale». Stando al servizio firmato da Andrea Polizzo Viacqua precisa che il progetto è frutto di un protocollo d’intesa siglato con Ava (che ha sede nella città laniera), quale gestore del termovalorizzatore di Schio, definito e approvato in accordo con gli enti competenti.

Secondo Castaman due sono gli obiettivi fondamentali che le due società pubbliche intendono perseguire: «il primo è lo studio di modalità efficaci per la riduzione dei quantitativi di fanghi di depurazione civile; il secondo è valutare possibili scenari per lo smaltimento alternativi allo stoccaggio in discarica o allo spargimento nei campi, ritenute soluzioni non più sostenibili». Muovendo da queste considerazioni, scrive Polizzo, Viacqua «ha dunque testato un impianto mobile di essiccazione dei fanghi» e parallelamente, «ha condotto una verifica di fattibilità tecnica per il possibile avvio dei fanghi essiccati a termovalorizzazione» che peraltro de facto, spiegano da tempo i critici «è un sinonimo bell’e buono di incenerimento».

QUESTIONE LOGISTICA
«Quest’ultimo procedimento, nella particolare logistica che si riscontra a Schio, potrebbe essere sfruttato non solo per la produzione di energia elettrica ma anche, rimarca Castaman, per il recupero del calore attraverso teleriscaldamento e sfruttamento per i processi di essiccazione dei fanghi». Il termovalorizzatore di Schio, conclude il presidente, risulta già autorizzato «alla ricezione di eventuali fanghi di depurazione civile ed è da tempo ampiamente monitorato dagli organi competenti».

LO SCIENZIATO BACCHETTA IL PRESIDENTE
Questa impostazione però ieri, in un ideale confronto a distanza, è stata letteralmente messa alla berlina dal professor Tamino: il quale «sulla base delle evidenze scientifiche» ha snocciolato una narrazione «di segno diametralmente opposto». Per quanto riguarda «i pochi dati che Isde è riuscita ad ottenere – fa sapere il biologo – le cose stanno in ben altra maniera». Per quanto concerne i Pfas (che nel Veneto sono stati prodotti dalla trissinese Miteni, che sono divenuti il quinto fattore di rischio per gli stessi veneti e che da tempo sono al centro di uno scandalo colossale finito in tribunale per giunta) «le misurazioni che abbiamo visionato comportavano una taratura dei macchinari su livelli così alti tali da non rilevare le concentrazioni di queste sostanze, che sono nocive già in quantità microscopiche».

BORDATE A NON FINIRE
Parole cui hanno fatto seguito quelle di Rossi e Bertola: «È come voler pesare un pulcino su una bilancia per camion». E ancora, nella documentazione presentata al Comune di Schio, rimarca ancora Tamino «poco o nulla si dice sui fanghi prima e dopo il trattamento. L’essiccamento di per sé peraltro è già una forma velata di combustione. A tutto ciò si aggiunge che ormai gli inceneritori di per sé sono una tecnologia inquinante, perché la combustione genera molte più sostanze nocive di risulta di quelle che ab origine pretende di dissipare». Poi un’altra bordata: «Spesso gli impianti civili, trattano anche reflui industriali. È una anomalia negativa nella storia di questo Paese: per questo altri motivi i Pfas, tipici delle lavorazioni industriali e sostanze riconosciute come ubiquitarie e persistenti, finiscono anche nei fanghi civili che in astratto non dovrebbero contenerli».

Bertola (che è un medico ematologo molto noto nel Veneto in ragione dello studio che sta conducendo sull’effetto dei Pfas nei giovani assieme al dottor Enrico Ioverno) ieri sera ha snocciolato a tambur battente una carrellata di studi, «tutti rigorosissimi» in forza dei quali alcune primarie agenzie per la protezione dell’ambiente o della salute, in mezzo mondo ci hanno spiegato che i Pfas sono un po’ dovunque, che fanno molto male e che possono tranquillamente finire anche nei fanghi di depurazione «anche con la pioggia».

FORMA VELATA «DI COMBUSTIONE»
In questo senso Tamino, quando parla di forma velata di combustione, menziona due princìpi «imprescindibili» della fisica ossia quello per cui «nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma» e poi quello per cui «è impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di trasferire calore da un corpo più freddo a uno più caldo senza l’apporto di lavoro esterno». Tanto che per il professore, «affermare come hanno fatto dalle parti di Viacqua» che quel progetto rispetti i canoni della energia circolare «è una bufala, anzi un falso sia sul piano scientifico che giuridico».

BUFALE, FALSI E REATTORI A CIELO APERTO
Il motivo? «Perché nei processi virtuosi di riciclo e riutilizzo tipici della economia circolare la produzione di energia, a maggior ragione quella creata con la combustione, non è mai e poi mai ammessa». Di più, Tamino se la prende con i limiti stabiliti dalle norme. Rimarca come nella stragrande maggioranza dei casi questi non tengano conto di come gli elementi chimici, a quelle temperature, si ricombinino «proprio nei processi interni ai cosiddetti termovalorizzatori»: i quali finiscono per così per essere una sorta di reattori a cielo aperto.

IL J’ACCUSE
E così ieri mentre la tensione in sala saliva e mentre molti degli uditori si lasciavano andare a considerazioni di una durezza inusitata («non saremo le cavie di Viacqua e Ava» è il «Leitmotiv» circolato a mezza bocca durante la serata) è stato l’assessore Maculan ad indirizzare un duro monito alle due società: «Anzitutto quella clausola di riservatezza non sta né in cielo né in terra. Per questa ragione e per tante altre i nostri uffici stanno visionando il dossier a 360 gradi». Detto alla grossa i residenti temono che il tragitto per giungere ad un ventilato incenerimento di fanghi, magari contenenti Pfas, sia stato messo in ghiacciaia da Castaman solo «per una evidente forma di tatticismo». Tuttavia l’iter potrebbe presto riprendere vigore: questo almeno è il timore espresso a più riprese dall’uditorio. Un timore che non è sfuggito a maculan e agli altri amministratori presenti in sala.

PAROLE COME MACIGNI
Poi, dopo aver espresso una contrarietà «nettissima» nei confronti della eventualità della combustione dei fanghi di depurazione, Maculan ha lanciato un messaggio neanche tanto velato ai sindaci all’interno dell’azionariato delle due compagnie pubbliche. «A Marghera nel Veneziano nonché a Padova la proposta di realizzazione o di potenziamento di inceneritori o di essiccatori è giunta da alcuni colossi del settore. In questo caso addirittura, siamo noi stessi che ci stiamo portando in casa l’alieno» proprio perché le società controllate fanno riferimento ai comuni del comprensorio. «Tant’è che i parametri economici – fa sapere Maculan – non possono essere gli unici ad essere considerati. Gli effetti sulla salute vanno valutati con cura e le amministrazioni pubbliche ne debbono tenere conto. Come debbono tenere conto del principio di precauzione».

Si tratta di parole che pesano come macigni e che fanno scorgere in qualche modo uno scontro in atto sotto il pelo dell’acqua della politica veneta: uno scontro che esula dagli abituali schemi politici. E che per certi versi si riverbera nella governance delle controllate. Che molti detrattori definiscono come corpi il cui management agisce con logiche completamente avulse, «ben più affini al capitalismo privato e alla gestione autoreferenziale del potere», rispetto a quelle tipiche delle municipalizzate «quando agiscono in ossequio al loro mandato originario».

GIOCO «DEI BUSSOLOTTI»
E così le parole di Maculan presto potrebbero avere una eco gravida di conseguenze anche a Vicenza. Dove il neosindaco, democratico Giacomo Possamai, dovrà gestire, fra tanti dossier complicati come quello del Tav, pure quello dell’impianto di essiccamento previsto nei pressi di Casale: un dossier già definito «una rogna non da poco» a palazzo Trissino. Infatti il problema degli impianti di essiccamento infatti, come ha ricordato ieri Tamino, è ben noto agli scienziati: che descrivono tale contraddizione in termini come una sorta «di gioco dei bussolotti». Più nel dettaglio, «se i fanghi si essiccano per essere riportati in discarica – dice Tamino – tale procedura non ha senso ed è solo costosa perché una volta interrati riprendono l’acqua e quindi il loro volume».

LO SCENARIO
Se invece li essicca per bruciarli, allora, puntualizza il biologo, che ieri è stato un fiume in piena, «ricadiamo nella fattispecie degli inceneritori, che sono inquinanti e che non risolvono alcun problema. Primo perché disperdono nell’ambiente tantissime sostanze, per esempio le micidiali diossine che ormai si riscontrano anche nei tessuti adiposi delle donne gravide nonché nel latte materno, sostanze che sono spesso cancerogene; secondo perché le ceneri incombuste, che sono pericolosissime, comunque vanno smaltite con le incognite che la cosa comporta. Dobbiamo avere il coraggio – fa sapere il professore – di riconsiderare il nostro modello di sviluppo. Fino a poco dopo la Seconda guerra mondiale infatti anche le società industriali producevano poco rifiuto. Poi con l’avvento delle plastiche e non solo delle plastiche nonché del consumismo tutto è cambiato».