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Mentre sempre più spesso emergono i problemi derivanti dall’inquinamento dai PFAS, inquinanti per sempre, ogni tanto salta fuori un nuovo articolo scientifico che sembra trovare la soluzione “definitiva” al problema della loro mancata degradabilità.

L’ultimo è uscito a dicembre, su Environmental Science & Technology a cura di un gruppo di ricerca dell’Università del Missouri, ed è stato ripreso in Italia dal sito “30Scienze” con il titolo fuorviante “Sviluppato semplice metodo per purificare l’acqua dai PFAS”.

Ovviamente non è proprio così e la dott.ssa Vitalia Murgia, una delle due curatrici – con Vincenzo Cordiano – del volume “PFAS, una contaminazione persistente, pervasiva e pericolosa”, ci ha rilasciato le sue considerazioni in merito per evidenziare i limidi dello studio sintetizzato più sotto:

1. Numero limitato di PFAS testati

Lo studio ha esaminato solo cinque PFAS a catena lunga, un numero molto ridotto rispetto alle migliaia di varianti esistenti. Molti altri PFAS, inclusi quelli a catena corta e i fluoropolimeri, potrebbero comportarsi in modo diverso durante il trattamento termico, rendendo incerta l’estensione dei risultati a un contesto più ampio.

2. Condizioni sperimentali controllate

L’esperimento è stato condotto in un ambiente di laboratorio con condizioni ben definite, che potrebbero non riflettere le complesse dinamiche ambientali. Fattori come la presenza di altri contaminanti, il tipo di suolo o acqua contaminata e le variazioni di temperatura potrebbero influenzare significativamente l’efficacia del metodo proposto.

3. Meccanismo di Degradazione Ancora Poco Compreso

Nonostante il GAC abbia dimostrato di migliorare la mineralizzazione dei PFAS, il meccanismo preciso attraverso cui ciò avviene non è ancora del tutto chiaro. Ulteriori studi sono necessari per comprendere se il GAC agisca solo come supporto o se vi siano reazioni catalitiche in gioco.

4. Possibili Sottoprodotti di Degradazione

Anche se lo studio non ha rilevato la formazione di tetrafluorometano (CF₄), sono stati identificati alcuni prodotti di degradazione incompleti (PIDs) e di perfluoroalcheni. Questi composti potrebbero avere impatti ambientali non ancora pienamente compresi, per cui è essenziale approfondire la loro caratterizzazione e il loro destino ambientale.

La portata dei risultati dello studio di Sun e Xiao (2024) è limitata dal numero ristretto di composti testati e dalla necessità di ulteriori verifiche in ambienti reali. Sebbene il carbone attivo granulare (GAC) si sia dimostrato efficace, ulteriori studi sono necessari per confermare la sua applicabilità su larga scala e per garantire che non si generino sottoprodotti indesiderati.


New Insights into Thermal Degradation Products of Long-Chain Per- and Polyfluoroalkyl Substances (PFAS) and Their Mineralization Enhancement Using Additives Environ. Sci. Technol. 2024, 58, 50, 22417–22430

Lo studio di Sun e Xiao (2024) esplora il comportamento termico di diversi PFAS a catena lunga e introduce nuovi approcci per migliorare la loro completa degradazione mediante l’uso di additivi solidi. Gli obiettivi dello studio sono: 1. Identificare i prodotti di degradazione termica incompleta (PIDs) di cinque PFAS a catena lunga in diverse condizioni (inertizzazione con azoto vs. ambiente ossidativo con aria). 2. Valutare l’efficacia degli additivi solidi nel migliorare la degradazione e la mineralizzazione dei PFAS, riducendo il rilascio di sottoprodotti pericolosi. 3. Esaminare l’efficacia del carbone attivo granulare (GAC) come catalizzatore per migliorare la rimozione dei PFAS a temperature moderate.

Lo studio ha analizzato la degradazione termica di cinque PFAS, tra cui PFOA, PFOS, PFNA, PFDA e un composto cationico precursore dei PFAS. Le analisi sono state condotte in ambienti inerti (azoto) e ossidativi (aria) per identificare i prodotti di decomposizione tramite spettroscopia FTIR e analisi termogravimetrica (TGA-FTIR).

I dati spettroscopici suggeriscono che la degradazione termica dei PFAS inizia con la scissione dei legami che portano alla formazione di radicali perfluoroalchilici, dando origine a PIDs organofluorurati (ad esempio, perfluoroalcheni). I perfluoroalcheni condividono con altri PFAS una notevole stabilità chimica, dovuta ai forti legami carbonio-fluoro. Questa caratteristica suggerisce che possano essere altamente persistenti nell’ambiente, resistendo ai processi naturali di degradazione. In presenza di aria, i radicali perfluoroalchilici reagiscono con l’ossigeno formando PIDs contenenti ossigeno.

I PFAS hanno generato perfluoroalcheni e altri organofluoruri durante la degradazione termica. Non è stata osservata la formazione di tetrafluorometano (CF₄), un gas serra altamente stabile. Il carbonil fluoruro (CF₂O) è stato rilevato solo in condizioni specifiche (degradazione di K-PFOS in aria tra 450-500 °C).

Gli autori classificano gli additivi solidi in tre categorie: altamente efficaci (GAC, metalli nobili), moderatamente efficaci (palladio e platino su allumina) e non efficaci (biochar). L’aggiunta di GAC ha migliorato la degradazione del PFOA di oltre il 90% a 300°C in 60 minuti. A parere degli autori, l’uso del carbone attivo granulare (GAC) è un metodo promettente per il trattamento dei PFAS, riducendo i prodotti di degradazione tossici.