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Riproponiamo l’articolo di Franceaco Romizi, responsabile comunicazione ISDE Italia, pubblicato sull’Extraterrestre (supplemento de Il Manifesto).

La gravità del cambiamento climatico e il declino della biodiversità sono evidenti, più di un milione di cittadini europei hanno sostenuto un’iniziativa popolare che chiede una forte riduzione dei pesticidi e il sostegno agli agricoltori per raggiungere questo necessario obiettivo.

Secondo la Stockholm Resilience, i pesticidi sono una delle principali cause del drammatico declino della biodiversità in tutto il mondo, un disastro ecologico che si trova in una fase ancora più avanzata della crisi climatica, mettendo in pericolo “l’integrità dei sistemi viventi” da cui dipendono anche gli esseri umani. 

Studi scientifici e anni di mobilitazione da parte dei cittadini hanno portato l’Unione Europea a promuovere il Green Deal e la sua componente agricola: la strategia Farm to Fork.

E per un po’ è sembrato che a Bruxelles soffiasse un vento diverso, almeno per quanto riguarda i temi legati all’alimentazione e all’agricoltura. I politici ai vertici della Commissione europea, inclusa la presidente Ursula Von Der Leyen, sembravano riconoscere la necessità di agire e di agire con urgenza.

Tuttavia, fin dall’inizio, abbiamo notato che, aziende come Bayer e BASF e i loro gruppi di pressione nonché i loro referenti politici, hanno operato per bloccare, indebolire e persino far deragliare numerosi progetti del Green Deal.

Non a caso due settimane fa il Parlamento Europeo ha bocciato il regolamento europea sui pesticidi (SUR) con 299 voti contrari, 207 favorevoli e ben 121 astensioni. Il testo prevedeva la riduzione del 50% dell’uso dei prodotti fitosanitari entro il 2030 e del 65% dei prodotti più pericolosi entro la stessa data.

Tutto ciò rappresenta un’importante battuta d’arresto per le ambizioni contenute nel Green Deal europeo; secondo le principali associazioni che si occupano di agricoltura sostenibile e di salute, si tratta di un voto pesantemente condizionato dagli interessi privatistici di una parte dell’agroindustria. 

Sono stati i gruppi parlamentari di destra ed estrema destra, fino ad una parte dei socialisti e democratici come anche dei liberali di Renew, a bocciare la proposta di regolamento. Ora sarà il Consiglio europeo, composto dagli Stati membri, a doversi pronunciare nel merito, e il Parlamento dovrà votare sul testo da loro proposto.

In particolare, il Partito popolare europeo (PPE) ha lavorato per indebolire questa proposta, percorrendo un cinico percorso populista di distruzione ambientale e ribattezzandosi “partito degli agricoltori” per ottenerne un guadagno in termini elettorali. 

Purtroppo un destino simile è stato riservato alla legge sui sistemi alimentari sostenibili, alle nuove norme sul benessere degli animali e alla revisione della legislazione europea sulle sostanze chimiche. 

Ma come si è arrivati a questa bocciatura? E’ stata condotta una campagna durata due anni, in cui la lobby agricola e l’industria dei pesticidi hanno lavorato in tandem. Ciò ha comportato la promozione di “studi di impatto” auto-orchestrati, l’allarmismo sulla perdita di produttività e sulla sicurezza alimentare.

I presupposti e la progettazione di questi studi sono stati ampiamente screditati da scienziati, istituzioni dell’UE e ONG. Non meno di 6.000 scienziati hanno espresso il loro sostegno sia alla legge sulla riduzione dei pesticidi che alla legge sul ripristino della natura in quanto essenziali per la sicurezza alimentare a lungo termine.

Tuttavia il lavoro delle lobby delle aziende dell’agribusiness si è intensificato negli ultimi mesi. 

Un nuovo rapporto del Corporate Europe Observatory ( un’organizzazione non-profit che si occupa di raccogliere e documentare le azioni e gli eventuali effetti del lobbismo aziendale sui processi decisionali all’interno dei principali organi dell’Unione europea) rivela che la lobby dell’industria non solo ha minato gli obiettivi di riduzione dei pesticidi proposti nella legge, ma ha anche minimizzato il potenziale dei metodi biologici per affrontare i parassiti e ha spinto le proprie soluzioni tecnologiche anche quando non testate, come la deregolamentazione delle colture geneticamente modificate. Quest’ultimo sarà brevettato dalle multinazionali, aumentando la dipendenza degli agricoltori.

La lobby agricola del Copa-Cogeca, per esempio, assieme agli eurodeputati conservatori del PPE affermano di rappresentare la voce degli agricoltori in Europa ma in realtà agiscono contro i loro interessi. Gli agricoltori e le loro famiglie sono i primi a essere esposti ai gravi effetti sulla salute che l’irrorazione di pesticidi sui terreni agricoli può causare, come il morbo di Parkinson o il cancro.

E che dire dei decisori responsabili di mantenere le promesse del Green Deal? Frans Timmermans ha lasciato l’incarico, mentre Von Der Leyen ha da tempo dimenticato i suoi impegni per un’Europa sostenibile, verde e pronta ad affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici. Nel frattempo, le lobby aziendali hanno rafforzato il potere del PPE e di altri politici che danno costantemente priorità ai guadagni delle aziende rispetto alla salute e al benessere ambientale.

Perché questo sabotaggio da parte di lobby aziendali ben finanziate dovrebbe essere ancora tollerato? E’ ora di finirla.

Esiste, a Bruxelles, ma non a Roma un accurato sistema che non permette (permetterebbe?) alle lobby del tabacco di influenzare i processi politici comunitari. E’ arrivato il momento che tale sistema venga esteso anche a coloro che rappresentano i combustibili fossili e le aziende dei pesticidi. 

Per affrontare la crisi della biodiversità e creare un futuro vivibile, abbiamo bisogno di politiche che guidino e aiutino gli agricoltori ad abbandonare i pesticidi sintetici. Per arrivarci, dovremo eliminare gli inquinatori tossici dal processo decisionale politico.

Francesco Romizi