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Nel febbraio scorso l’Ordine dei Medici di Cremona, in collaborazione con ISDE Italia, ha organizzato un corso di aggiornamento professionale sul tema “Raffinerie e salute”.

Trattandosi di un argomento non molto trattato, ma di notevole interesse soprattutto per le comunità vicine ad impianti del genere, appare utile pubblicare la presentazione del corso ed un resoconto sintetico degli interventi disponibili dei relatori.

Presentazione

L’inquinamento ambientale da prodotti petroliferi riveste enorme importanza non solo perché le emissioni dovute ai combustibili fossili utilizzati per il riscaldamento domestico, contribuiscono al peggioramento della qualità dell’aria per circa il 40%, e quelle da motori a scoppio/traffico stradale per circa il 20%, ma anche perché risultano estremamente impattanti tutti i processi di estrazione e di lavorazione dei prodotti stessi. 

È sufficiente ricordare che i quantitativi assoluti, di tali prodotti sono enormi: 2800milioni/ton/anno di petrolio greggio, estratte a livello mondiale. 

Negli ultimi vent’anni si è affiancata all’estrazione tradizionale (creando grandi sconvolgimenti nei mercati finanziari) la tecnologia del fracking: estrazione di petrolio e gas da rocce sedimentarie profonde (scisti bituminosi). Tale tecnologia è devastante per l’ambiente: per l’enorme consumo di acqua che richiede, per lo smaltimento della enorme quantità di rifiuti che produce, per il grande rischio sismico indotto. Uno studio del Geological Survey degli USA, ha rivelato che alcune zone del Texas e dell’Oklahoma correrebbero attualmente, lo stesso pericolo delle aree californiane più soggette ai terremoti, a causa del fracking. A rischio, vi sarebbero almeno 7 milioni di persone. 

Dell’enorme quantitativo di petrolio estratto, oltre 500 milioni/ton viaggiano ogni anno via mare su petroliere. Apprendiamo periodicamente dai media la notizia di grandi sversamenti in mare.

Dal 1970 al 2010 gli incidenti verificatisi sono più di 1.200. Emblematico il caso della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, 20 aprile 2010, considerato da molti il peggior disastro ambientale di sempre. Più recentemente, il 15 gennaio 2022, 6 mila barili di petrolio greggio sono stati dispersi lungo le coste peruviane. Il petrolio disperso in mare ha effetti tossici principalmente sul plancton, causandone una drastica riduzione, con drammatiche ripercussioni sull’intera catena alimentare marina. Vengono colpiti direttamente anche i mammiferi marini e gli uccelli. Il petrolio penetra nel piumaggio e nella cute degli animali causandone la perdita delle proprietà idrorepellenti, e termiche, rendendo gli stessi vulnerabili alle escursioni di temperatura ambientali L’istinto porta gli uccelli, spesso resi incapaci di volare, a ripulirsi usando il becco, in questo modo ingeriscono la sostanza, con conseguenti danni renali, epatici e all’apparato digerente. A causa di ciò molti muoiono prima dell’arrivo dei soccorritori. Mentre gli idrocarburi volatili più leggeri (benzene, toluene, xilene) diffondono rapidamente in atmosfera, le frazioni più pesanti sedimentano e danneggiano gli habitat costieri (distruzione delle mangrovie, impedendo gli scambi di ossigeno dalle radici) che impiegheranno poi molti anni per ricostituirsi.

Nel convegno organizzato da ISDE Italia con l’Ordine dei Medici di Cremona dal titolo “Raffinerie e Salute”, è stata focalizzata l’attenzione su alcuni casi emblematici di inquinamento ambientale da prodotti petroliferi e dalla loro lavorazione nel nostro Paese. L’attenzione è stata rivolta agli aspetti di sanità pubblica, analizzando, tra le altre cose, numerosi studi epidemiologici passati e presenti.

Più specificatamente sono stati approfonditi i casi del disastro ambientale Tamoil a Cremona, del petrolchimico di Porto Marghera, della raffineria di Trecate, del disastro ambientale in Val D’Agri e della raffineria di Sarroch.

In Italia attualmente sono undici le raffinerie attive:

  • Trecate (Exxon-Mobil) 9milioni/ton/anno
  • Sannazzaro dei Burgundi (ENI) 10milioni/ton/anno,
  • Busalla (Iplom) 2milioni/ton/anno
  • Livorno (ENI) 4,2milioni/ton/anno,
  • Falconara Marittima (API) 1,5milioni/ton/anno
  • Taranto (ENI) 6,5milioni/ton/anno,
  • Polo di Augusta-Priolo-Gargallo-Melilli (Sonatrach e Green Oil Energy) 26milioni/ton/anno,
  • Milazzo (ENI- Kuwait Petroleum Italia) 10milioni/ton/anno
  • Sarroch (Saras) 15milioni/ton/anno,
  • Gela (ENI) 5,3milioni/ton/anno,
  • Porto Marghera (ENI) 3,2milioni/ton/anno. 

In Totale 92,7milioni/ton/anno di cui 39,5% gasoli, 18% benzine, 9,9% olii Combustibili, 6,9% virgin nafta, 3,9 jetfuel, 3,5% bitumi, 1,6% lubrificanti. 

Le principali sostanze inquinanti emesse dalla lavorazione del greggio in raffinerie comprendono: Benzene (C6H6), Cadmio (Cd), Cloro (Cl), Cromo (Cr), Arsenico (As), Nichel (Ni), Composti Organici Volatili (COV), PM10, Anidride solforosa (SO2), Ossidi di Azoto (NOX), Piombo (Pb), Monossido di carbonio (CO), Ozono (O3), Benzo(a)pirene (C20H12). 

I pericoli per la salute umana causati da tali inquinanti emessi dalle raffinerie comprendono: emo linfopatie maligne ed in particolare leucemie mieloidi e linfomi non Hodgkin, elevata incidenza di malattie respiratorie, tumori del polmone e della pleura, ma anche eccessi di mortalità e morbilità per malattie cardiovascolari, aumentato rischio di diabete. Segnalati anche eccessi di tumori al rene e vescica, eccessi di tumori di fegato e delle vie biliari, incrementi della mortalità generale e per tutti i tumori.

Un discorso a parte merita il mercurio (Hg), contenuto sia nel petrolio grezzo che nel gas naturale. Il mercurio viene emesso in varie fasi del ciclo vitale del greggio: durante l’estrazione, principalmente attraverso le acque di scarico. Circa 13,5/ton di mercurio vengono rilasciate nell’ambiente ogni anno nei procedimenti di estrazione. Si accumula inoltre nei serbatoi di stoccaggio, ma viene emesso anche durante le fasi di lavorazione in percentuali variabili a seconda del contenuto di base e delle diverse tipologie di lavorazione. Tale sostanza, che è stata posta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) tra le dieci sostanze più inquinanti, ha un forte impatto negativa sulla salute. È infatti bio-accumulabile negli ecosistemi e nell’organismo umano. 

Durante il convegno è stato presentato anche il Rapporto UNEP sull’inquinamento da mercurio nel petrolio e nel gas naturale, della cui stesura è stata incaricata ISDE attraverso il coordinamento generale di Lilian Corra di ISDE International. 

Case Study Tamoil Raffinazione SPA

A cura di Federico Balestreri- Presidente ISDE Cremona

Dopo l’emanazione del D.M. 471/99 del 25/10/1999, Tamoil si autodenunciò come proprietario non responsabile, dell’inquinamento del suo sito, dichiarando che l’inquinamento era circoscritto entro i limiti dello stabilimento, e non interessava le aree esterne occupate dalla società Canottieri cremonesi. Gli Enti pubblici preposti: Comune, Provincia, ARPA, ASL, Ministero dell’Ambiente, mostrarono una colpevole inerzia d’azione, che portò ad una enorme dilatazione dei tempi di verifica e di intervento.

Solamente grazie all’azione popolare ed all’intervento della Magistratura si giunse alla fine a fare emergere la verità, alla identificazione e alla condanna dei responsabili. Tamoil avrebbe dovuto presentare da subito il piano di Caratterizzazione Ambientale, per verificare l’entità e l’estensione dell’inquinamento, incluse le ispezioni dell’impianto fognario. Ciò venne richiesto da Comune e Provincia nel 2002 e 2003 senza alcuna risposta dall’azienda. Solo nel 2004 Tamoil provvedette all’ispezione fognaria: in alcuni punti la parte inferiore dei condotti mancava a causa di crolli, i pozzetti di collegamento erano collassati, i condotti semi-ostruiti da radici di piante. Solo nel 2010 dopo ben 9 anni venne completata la riparazione dell’impianto fognario. 

Nel maggio 2005 nessun accertamento era ancora stato eseguito, né all’interno né all’esterno della raffineria. Soltanto nel 2007 (6 anni dopo l’autodenuncia) le analisi di ARPA sulle aree esterne, evidenziarono che le stesse e la falda sottostante risultavano pesantemente inquinate da idrocarburi. La Provincia di Cremona con l’ordinanza n. 100915, dichiarò Tamoil responsabile per l’inquinamento delle aree esterne e la diffidò ad attivare immediatamente le eventuali misure di prevenzione e messa in sicurezza. La costruzione della barriera idraulica a protezione delle aree esterne, iniziò quell’anno e si concluse solamente nel 2011 a ben 10 anni di distanza dall’insorgenza del problema. Nel giugno 2009 erano stati già estratti oltre 700m3 di idrocarburi dalla falda, ciononostante l’anno successivo i valori di idrocarburi in falda erano ancora elevatissimi con valori di Benzene in alcuni piezometri di 13.223μgr/m3, Xileni 25.130μgr/m3, MTBE 1370μgr/m3

Per capire l’importanza e la pericolosità del rischio per la salute pubblica, al di là del disastro ambientale, bisogna considerare che le Società Canottieri rivierasche hanno una popolazione di oltre 10.000 soci e solamente la Canottieri Bissolati, utilizzava allora annualmente per il riempimento delle piscine, le strutture igienico sanitarie e l’irrigazione del verde oltre 170.000m3 di acqua pescata dai propri pozzi, nella falda inquinata. L’esposizione dei frequentatori della Canottieri agli inquinanti (di cui diversi cancerogeni) sono state pertanto la via inalatoria, per ingestione e per contatto cutaneo. In seguito alle sollecitazioni nostre l’allora ASL di Cremona nel marzo 2009 attivo una disamina preliminare su alcune patologie di interesse ed i dati preliminari, premesso che furono calcolati con standardizzazione diretta, statisticamente più instabile, rispetto all’indiretta e mancava una quantificazione, sia pure approssimativa dell’esposizione individuale, mostravano un incremento doppio del Tumore polmonare per i Soci della Canottieri Bissolati rispetto agli altri 2 circoli (Flora e Dopolavoro Ferrovieri)‏.  Non è mai stato chiarito inoltre, perché i soci Bissolati vennero considerati come esposti confrontandoli a riferimento, con quelli Flora e DLF considerati invece non esposti. Il confronto doveva essere fatto in modo diverso: ovvero con la intera popolazione cittadina o meglio ancora con quella regionale. Nell’area più vicina alla Raffineria quella Sud Ovest la mortalità per Leucemia fu nel periodo preso in esame di 20 casi SMR 1,62 (95%CI 1,06-2,37). Tradotto in parole semplici, una volta e mezzo quella del centro città. Inoltre nella zona Incrociatello – Picenengo – Cavatigozzi fu rilevata di due volte e mezzo la mortalità di Cremona Centro. La mortalità generale (per tutte le cause) dei soci canottieri invece era ad un Tasso inferiore 49,5/1000, se confrontata con quelle del Comune di Cremona 78,8/1000 e della Provincia 81,2/1000. Anche se era di tutta evidenza l’incompletezza epidemiologica di questi dati preliminari, era comunque possibile ipotizzare che il minor Tasso di mortalità generale dei soci delle Canottieri raffrontati con la popolazione comunale e provinciale, fosse stato influenzato dal fatto che era una popolazione selezionata. Più giovane e certamente più propensa ad una maggiore attività fisico-sportiva rispetto alla popolazione generale. E quindi teoricamente in uno stato di salute migliore.

Questo dato era in netto contrasto però col fatto che i Tassi di mortalità per leucemia si invertivano: 1,30 per le società sportive, 1 per il Comune, 0,8 per la Provincia. Persone più sane, che morivano di leucemia più spesso di persone meno sane e più anziane. I dati preliminari avrebbero meritato uno studio epidemiologico dedicato, tuttavia l’allora Direttore Generale dell’ASL Locatelli non diede seguito allo studio e i dati disponibili epidemiologici sui soci delle Canottieri si fermano a questo punto.

Nel 2012 l’ASL commissionò tuttavia alla Clinica del Lavoro dell’Università di Milano uno studio osservazionale sui lavoratori della Raffineria. Le conclusioni di questo studio furono che i lavoratori non ebbero una mortalità complessiva superiore all’atteso. In particolare la mortalità per tumori fu inferiore all’attesa. Lo studio non considerò tuttavia i dati di esposizione individuale che erano, insufficienti o non disponibili.  Non suddivise i lavoratori fra personale amministrativo ed addetti agli impianti (e in questo caso in Letteratura gli esiti sono molto diversi). Soprattutto la popolazione esaminata fu certamente solo un sottogruppo parziale, poiché Tamoil da sempre utilizzava, per la manutenzione degli impianti e la movimentazione dei prodotti petroliferi (i lavori a maggior rischio espositivo) un gran numero di operai di ditte esterne. Il seguito della vicenda è storia nota, conclusa con le tre sentenze di condanna: 12/02/2015Tribunale di Cremona sentenza I° grado, 06/09/2016 Corte d’Appello di Brescia sentenza Appello, 31/10/2019 Corte di Cassazione sentenza definitiva. Da parte nostra è motivo di orgoglio aver lavorato come CTP, fornendo il nostro modesto contributo scientifico che ha scardinato le consulenze del CTP di parte Tamoil, prof. Angelo Moretto. Come riportano le sentenze, abbiamo smantellato punto per punto le tesi e i tentativi di mistificazione del perito di Tamoil, e ci piace pensare, che essere riusciti a fornire ai magistrati un quadro oggettivo e veritiero dei rischi per la salute, li abbia fortemente supportati nella loro decisione finale. 

Ma la storia non finisce qui. Nonostante la produzione in Tamoil sia ferma da 12 anni i Soci Bissolati avvertono spesso la persistenza di forti odori di idrocarburi provenienti dal terreno. Ciò ha indotto il Consiglio societario ad avviare autonomamente attività di ricerca e monitoraggio sui propri terreni, dove tutt’ora si rilevano in alcuni piezometri in falda livelli surnatanti di idrocarburi, dello spessore di 60cm. In seguito a ciò è stata fatta richiedere da Canottieri Bissolati tramite i propri avvocati, un’Accertamento Tecnico Preventivo (ATP) al Tribunale di Cremona. L’ATP eseguito dal Tribunale di Cremona ha stabilito che: vi è inadeguatezza della barriera idraulica ad impedire il passaggio dei contaminanti dal sito Tamoil alla Canottieri e che l’inquinamento è tuttora in atto, come dimostrato dal ritrovamento di prodotti di mai rilevati prima (kerosene stoccato nel sito solo dal 2019). Pochi mesi dopo la chiusura della Raffineria intervenne la Legge 07/08/2012 n. 134 con la quale si è sostituito il com. 9 dell’art. 57 del Dl. 09/02/2012 n. 5 prevedendo, all’art 36, che nel caso di chiusura di impianti di raffinazione e di loro trasformazione in deposito, i sistemi di Messa in Sicurezza Operativa (MISO) già in atto potevano continuare ad essere eserciti senza necessità di procedere contestualmente alla bonifica.

Ciò ha salvato la Raffineria dall’affrontare gli enormi costi di bonifica del proprio sito. Nel sito attualmente adibito a deposito e non più a raffinazione, comunque sono transitati nel 2021 la bellezza di 1.189.000/ton di prodotti petroliferi. In aumento rispetto agli anni precedenti. È noto che in ogni procedimento industriale almeno l’1% di prodotto viene perso nell’ambiente circostante, ed è facile fare i conti, in presenza di una barriera idraulica inadeguata. Per questo, successivamente all’ATP è iniziata una nuova causa della Canottieri Bissolati contro Tamoil, volta ad ottenere azione inibitoria al continuo passaggio di prodotto surnatante sul suo terreno, ad ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti, nonché ad ottenere la bonifica definitiva del sito della Canottieri stessa. Allo stesso modo i Soci delle Società Canottieri colpiti da tutte le patologie riconducibili all’esposizione (non soltanto tumorali) continuativa per anni a prodotti petroliferi, stanno valutando la possibilità di intentare causa a Tamoil per ottenere il risarcimento del danno subito. La soluzione del problema non può che essere la Bonifica definitiva dei terreni e della falda inquinata, che dati gli ingenti costi, vediamo di problematica attuazione

La raffineria di Sarroch in Sardegna: criticità ambientali e sanitarie e il silenzio della politica

A cura di Domenico Scanu – Presidente ISDE Sardegna

In Sardegna, le criticità̀ in materia di Salute ambientale affondano le radici in oltre mezzo secolo di politiche economiche sbagliate e poco lungimiranti determinanti costi altissimi in termine di salute ambientale e delle comunità̀ e tra questi il Petrolchimico che fece da apripista a numerose altre attività̀ inquinanti che hanno concorso e continuano a concorrere alla compromissione della salute ambientale di un terzo della Sardegna per esposizione a rischi di malattie da inquinamento di un sardo su tre, contro la media italiana di uno su sei. La raffineria di Sarroch, sulla costa a sud-ovest di Cagliari, è una delle più grandi del Mediterraneo per capacità produttiva (15 milioni di tonnellate all’anno, pari a 300.000 barili al giorno) ed una delle più avanzate per complessità degli impianti (con un indice di complessità Nelson pari a 11,7).

Gli impianti della raffineria e le attività petrolchimiche sono da anni al centro delle preoccupazioni dei cittadini, di comitati e associazioni ambientaliste, dei Medici per l’Ambiente di ISDE per questioni di salute pubblica e, più di recente, da organi istituzionali, tanto da spingere il Comune di Sarroch a campagne di monitoraggio ambientale nonché di controllo sulla salute della popolazione residente. I dati dello European pollutant release and transfer register di quanto rilasciato direttamente in aria dalla raffineria Saras sono: 20 tonnellate di benzene, oltre 22 chili di cadmio, circa 11 tonnellate di cloro, oltre 35 chili di mercurio, 2 tonnellate di cromo, 1.890 tonnellate di composti organici volatili, 275 tonnellate di PM10. La raffineria uccide: alcuni studi sul caso, come Il Rapporto sullo stato di salute delle popolazioni residenti in aree interessate da poli industriali, minerari e militari della Regione Sardegna del 2006 (A. Biggeri), ha evidenziato “l’alta incidenza di malattie respiratorie e di tumori del polmone e della pleura”.

Lo studio SENTIERI dell’ISS (Epi&Prev,2011) rileva che per uomini e donne è presente un eccesso di mortalità̀ per le malattie dell’apparato respiratorio. Il tumore della pleura è in eccesso in entrambi i generi. Si rileva infine un eccesso della mortalità per le condizioni morbose perinatali. I comuni di Portoscuso e Sarroch presentano delle criticità legate alla presenza di industrie metallurgiche, di raffinazione, di produzione energetica da combustibili fossili (Carbone e TAR), oltre alla presenza di attività minerarie pregresse e mai bonificate. P. Cocco, del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Univ. di Cagliari, su Epi&Prev (2012), con riferimento al periodo 1974-1993 e all’incidenza dei linfomi non-Hodgkin, rileva che la popolazione maschile, ma non quella femminile, residente nel distretto sanitario di Cagliari” presenta un “rischio elevato di emolinfopatie maligne” e, in particolare, di “leucemie”, con i “rischi più elevati di leucemie” riscontrati nei comuni di Pula, Sarroch, Assemini, a differenza di altri comuni dello stesso distretto. L’esposizione al benzene è alla base dell’aumento dell’incidenza di emolinfopatie.

Negli anni Novanta i comuni di Sarroch e Villa San Pietro furono oggetto d’indagine da parte dell’ISS su “richiesta dei rispettivi sindaci” a “causa della segnalazione di un eccesso di leucemie”. Nonostante il rapporto del 2008 confermasse l’eccesso e la necessità di urgenti indagini di epidemiologia analitica per l’esame dei possibili determinanti, non seguì alcuna reazione da parte delle Istituzioni. Lo studio pubblicato nel 2013 su Mutagenesis, condotto da un team internazionale di ricercatori che, fra il 2006 e il 2007, avevano comparato i livelli di alcuni parametri fisiologici di 75 bambini residenti nell’area industriale di Sarroch con quelli di 73 bambini residenti nell’area rurale di Burcei, procedendo nelle stesse a “campionamenti di misurazione dei tipici inquinanti industriali”, evidenziò come davanti a “più alte concentrazioni di inquinanti quali benzene, metalli pesanti e IPA” corrispondesse un “maggior tasso di alterazioni del DNA nell’epitelio nasale dei soggetti analizzati”.

Dal momento che la legge è chiara nello stabilire che la qualifica giuridica del SIN impone categoricamente a tutti gli organi competenti l’obbligo di adottare provvedimenti idonei a migliorare la qualità̀ dell’aria, e che dall’inosservanza di tali obblighi, possono scaturire condizioni di disastro ambientale, in aggiunta al ritardo sulle bonifiche, il Governo Nazionale deve avviare ulteriori approfondimenti epidemiologici necessari a definire l’entità̀ dell’impatto ambientale e sanitario della raffineria della Saras, mettere in atto misure concrete per ridimensionare le emissioni e svolgere controlli accurati sulla compatibilità delle attività del polo industriale di Sarroch con la salute della popolazione residente nell’area di ricaduta degli inquinanti atmosferici; nell’ambito delle proprie competenze, la Regione Sardegna deve attivarsi per l’istituzione immediata del registro tumori nei territori ad alta concentrazione di attività industriali e la pubblicazione dei dati disaggregati di incidenza tumorale.

Le criticità nella Val d’Agri

A cura di Giambattista Mele – Referente ISDE Potenza

La Basilicata è conosciuta attualmente per essere il “Texas d’Italia” con il giacimento petrolifero on-shore più grande d’Europa, sono due i centri oli ormai funzionanti a distanza di poco meno di 50 km l’uno dall’altro; il primo attualmente gestito da ENI Spa in collaborazione con Shell in attività dal 1995 con una estensione di poco meno di 200.000 mtq, in Val d’Agri a 1800 mt dal bacino del lago di Pietra del Pertusillo che rifornisce acqua da irrigare a molti comuni lucani e pugliesi ed acqua da bere a circa 3 milioni di cittadini lucani e pugliesi (!), il secondo gestito da Total (concessione Tempa Rossa-Gorgoglione).

Gli effetti sulla salute dei cittadini che vivono intorno al Centro Olio Val d’Agri (ENI) sono oramai ben conosciuti, riguardano non solo gli abitanti dei comuni di Viggiano e Grumento Nova che distano circa 1,5 km dal centro olio ENI, ma interessano anche altri comuni posti sottovento all’impianto.

Questi effetti sono stati ben studiati con  l’organizzazione di un progetto di studio , un vero e proprio studio epidemiologico chiamato “V.I.S. Val d’Agri” con una valutazione di impatto sanitario sulle popolazioni; lo studio coordinato dal CNR di Pisa (Dr. Fabrizio Bianchi), il Dipartimento di Chimica dell’università di Bari (prof. G. de Gennaro), varie branche del CNR ed il Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio. Lo studio ha dimostrato gli effetti sulla salute umana delle emissioni dell’impianto (benzene, VOC, NMHC, ecc.) che hanno portato ad affermare che tali inquinanti negli anni studiati (2000-2013) hanno provocato un eccesso di mortalità del 63% nelle donne per malattie cardiovascolari e del 41%  nei due sessi; simili sono i risultati per gli eccessi di ricoveri : + 41% nelle donne per malattie dell’apparato circolatorio (di cui l’80% rappresentato da malattie ischemiche), da un + 48% di ricoveri per malattie respiratorie sempre nel sesso femminile ed un +24% per entrambi i sessi per malattie polmonari. Tali risultati sono in linea con quanto studiato dall’ISS in un precedente studio descrittivo sulle popolazioni dei comuni dell’area estrattiva dove sono stati valutati i risultati delle patologie tumorali: nei comuni di Viggiano e Grumento Nova i cittadini si sono ammalati – per tutte le cause – con +14% per i maschi ed un + 11% per entrambi i sessi rispetto a tutti i cittadini lucani, mentre i due comuni rispetto ai cittadini dei 20 comuni della Valle dell’Agri presentano un incremento della mortalità per tutte le cause di un +19% per le donne e di un + 15% di entrambi i sessi. A questo punto occorre segnalare che mentre lo studio ISS si è interessato delle patologie tumorali, mentre  la VIS ha studiato e definito l’eccesso di mortalità e dei ricoveri per le sole malattie cardiorespiratorie, definite dallo studio come “sentinella”.

Lo studio è stato presentato ai cittadini ed ai decisori il 22 settembre 2017 e da allora è tuttora conservato nei cassetti della Regione Basilicata.

In questo momento le compagnie hanno definito un nuovo accordo con l’amministrazione regionale di Basilicata dove forniranno gratuitamente un 40% della bolletta del gas a tutti i lucani (briciole rispetto all’estrazione del solo gas!) e finanzieranno uno studio – definito epidemiologico – sulle aree critiche della Regione con un finanziamento annuo di 5 milioni di euro all’anno per cinque anni, nell’intento di dimostrare che le emissioni non fanno male.

Tanto vale la vita dei lucani almeno nelle 5 aree a forte criticità ambientale (definite dalla regione stessa ai sensi del  DLGS 155 del 2010).

Gli effetti dell’inquinamento petrolchimico a San Martino di Trecate

A cura di Marco Calgaro – Referente ISDE Novara

Nel febbraio 1994 a San Martino di Trecate , piccola frazione a circa 10 Km ad est di Novara, AGIP sta ancora trivellando pozzi di petrolio quando esplode il pozzo T24 e per tre giorni piove petrolio misto a gas su tutto l’abitato . Per 10 anni non si potrà più coltivare una vasta area di risaie. Fortunatamente i venti spiravano verso est e quindi l’esposizione a idrogeno solforato è stata contenuta. I successivi interventi di pulizia delle case e dei tetti, con gli abitanti ancora in loco, hanno però inevitabilmente diffuso polvere di amianto a quel tempo ancora molto presente sulle abitazioni. 

Nell’area si installano numerose attività legate al comparto petrolchimico. Ad oggi coesistono :

  • un centro oli 
  • una raffineria
  • un’ industria chimica di derivati dello zolfo
  • una industria chimica per la produzione di esteri, acetati, tensioattivi
  • un’ industria chimica per la fabbricazione di nerofumo.
  • un’industria chimica per la produzione di detergenti industriali
  • un centro di produzione di gas liquefatto
  • un deposito di oli minerali e GPL

A sud del polo petrolchimico , a pochi chilometri di distanza, si trova Cerano, un paese di circa 7000 abitanti. Cerano si trova per lo più sottovento e subisce da sempre l’inquinamento atmosferico generato dagli impianti senza mai aver ricevuto né royalties per il petrolio ( che appartiene al comune di Trecate ) né alcuna forma di compensazione. Negli anni si sono anche verificati numerosi incidenti che hanno coinvolto di volta in volta differenti stabilimenti con emissioni acute in atmosfera di inquinanti .Erano stati fatti alcuni studi epidemiologici non definitivi che hanno poi indotto la Provincia di Novara ad effettuare nel 2014 un grosso studio sullo stato di salute della popolazione di Cerano che ha considerato l’esposizione aerea dal 1990 al 2015 . I risultati di tale studio escono con molto ritardo solo nel 2018. Viene considerata l’esposizione a SO2 ( biossido di Zolfo ) scegliendolo come “ tracciante “ dei molti inquinanti con elevata persistenza ed accumulo nell’ambiente, nello specifico: IPA , Benzene, PM10 , PM2,5 metalli pesanti , SO2.

Vengono delineate tre zone di “ ricaduta “ degli inquinanti definite come alta, media e bassa esposizione. Si correla la permanenza degli abitanti in tali aree con i dati di mortalità e morbilità. I risultati, relativi alla sola popolazione stabile ( che ha vissuto lì per almeno 5-10 anni ), sono :

  • eccessi di leucemie, linfomi non Hodgkin nel sesso femminile;
  • eccessi di tumori al rene e vescica nel sesso maschile 
  • eccesso di mortalità naturale totale per gli uomini, con eccesso di cause tumorali totali
  • eccesso di patologie tumorali del fegato e delle vie biliari nelle donne e negli uomini. 
  • Aumentato rischio di diabete sia per gli uomini che per le donne.

A fronte di tali dati emersi con chiarezza dalle tabelle pubblicate lo studio conclude negando l’origine ambientale degli eccessi di rischio perché non si troverebbero ugualmente rappresentati negli uomini e nelle donne. Si afferma che gli uomini avrebbero diverse esposizioni occupazionali e diverse abitudini voluttuarie andando a contraddire quanto lo studio stesso scriveva poche pagine prima , e cioè che : “ le analisi sono comunque state ripetute escludendo i soggetti con professione anagrafica di operaio di industria chimica ma non si sono ravvisati variazioni dei risultati “ Ed ancora “ Si deve notare che i soggetti della coorte risiedono in una stessa zona molto limitata e si può presumere che le differenze di abitudini di vita non siano così rilevanti tra una zona e l’altra. “ D’altra parte non si capisce perché gli uomini residenti nei settori ad alta esposizione dovessero avere abitudini voluttuarie peggiori degli altri.  In sostanza si tenta di negare l’evidenza in modo grossolano.Provincia ed ASL non prendono nessuna iniziativa e tranquillizzano l’amministrazione comunale.

Nel novembre 2018 ISDE ha un primo incontro con l’amministrazione comunale di Cerano che non è per nulla convinta delle rassicurazioni ricevute e nella quale spieghiamo come andava letto in realtà lo studio epidemiologico. Cerano chiede di nuovo un intervento delle istituzioni ma non ottiene nulla. A questo punto ISDE crea un gruppo di lavoro con tutti i medici di base del paese e l’assessore all’ambiente di Cerano . Si chiede la consulenza della segreteria scientifica di R.I.M.S.A. ( Rete Italiana Medici Sentinella per l’Ambiente ) e del prof. Lucchini dell’ Università di Brescia. Insieme ai medici, utilizzando i loro software gestionali, si geolocalizzano i loro assistiti maggiormente a rischio per abitazione, sesso ed età, invitando ciascun medico ad una maggiore vigilanza su quegli assistiti. Si redige un protocollo di screening diagnostico per la diagnosi precoce delle patologie evidenziate dallo studio epidemiologico ( prevenzione secondaria ) da proporre agli assistiti più a rischio ( ad esempio citologico urine, Alfa feto proteina, ecografie , etc. ) . Al momento della analisi statistica purtroppo ci si rende conto che il valore predittivo positivo di tali screening non era sufficiente e quindi si rinuncia al protocollo ma si esorta la amministrazione comunale a continuare il pressing sulla ASL per avere un monitoraggio dei dati di prevalenza delle suddette patologie e poter in futuro riprendere in considerazione un qualche screening.

In un’ottica di prevenzione primaria va detto che già nel 2018 i pozzi di petrolio di San Martino di Trecate erano già esauriti e tutto il petrolchimico lavorava petrolio proveniente da Genova via oleodotto. ENEA aveva già prospettato per quel campo petrolifero , come per altri in Italia, la possibilità di convertirli a geotermia. Iniettando acqua nei pozzi dismessi in un circuito chiuso si ottiene vapore utilizzabile per produrre energia elettrica pulita ( ovviamente controllando e prevenendo fuoriuscite di gas tossici dal sottosuolo ) . Tale riconversione non si è mai voluta implementare e forse dopo lo studio di cui sopra sarebbe stata la risposta più onesta e seria da dare alle popolazioni.

Il petrolchimico Porto Marghera

A cura di Paolo Regini – Presidente ISDE Venezia  

Il sito industriale di Porto Marghera occupa un’area di 2109 ettari, e sorge sulla gronda lagunare a sud ovest della città storica di Venezia.

Porto Marghera nasce nel 1917. Nel 1922 la SADE vi costruisce una delle più grandi centrali termoelettriche d’Italia seguita dal sorgere di una importante serie di insediamenti industriali nel campo della siderurgia di base. Nel corso del secondo conflitto mondiale Porto Marghera subisce pesanti bombardamenti. Risorge dal punto di vista produttivo nel corso del dopoguerra con lo sviluppo del comparto petrolchimico, (chiunque, penso, ricorderà il marchio Moplen), e con l’espansione del ciclo dell’azoto, legato soprattutto alla produzione di fertilizzanti. In pieno boom economico Porto Marghera diventa uno dei principali poli produttivi del paese, nel 1965 impiega 32.980 addetti. Dall’inizio degli anni settanta inizia il declino, complice anche la crisi petrolifera. Inizia un processo di rimodulazione produttiva con sviluppo della cantieristica (Fincantieri) e del terziario.  Bisogna ricordare che questo processo , oltre che da strategie di politica industriale, è stato influenzato dallo svilupparsi tra gli anni 80 e inizio anni 2000 da un forte movimento di opposizione tra la popolazione verso le produzioni più nocive. Opposizione innescata da una serie di eventi che incidono profondamente nella coscienza collettiva. Nel 1989-90 Porto Marghera viene scelto come sito per incenerire i rifiuti della Jolly Rosso sospettati di contenere uranio. Nel 1998 viene celebrato il processo in cui la Montedison viene condannata a risarcire 525 miliardi di lire per i danni conseguenti alla produzione di CVM.

Il 28 novembre del 2002 scoppia un incendio che rischia di coinvolgere un deposito di fosgene con il rischio di causare un disastro paragonabile per dimensioni a quello avvenuto a Bhopal in India nel 1984. Nel 2006 viene realizzato un referendum comunale sul mantenimento o meno delle produzioni legate al ciclo del cloro a cui partecipano 80.000 votanti e in cui l’80% vota per la sua chiusura. A Porto Marghera oggi operano 841 aziende con 10.498 addetti, le grandi realtà industriali del passato son state sostituite da aziende medio-piccole che operano nel campo della meccanica, della metallurgia, della cantieristica e del petrolchimico. La chimica si è ridotta a poche microaziende con produzione di nicchia. In dismissione anche la raffinazione del petrolio con chiusura della raffineria ENI e sua conversione alla produzione di biocarburanti derivanti da olio di palma e materie biologiche provenienti dalle filiere degli scarti e dei residui. Nel campo dei prodotti petroliferi rimangono alcune aziende sedi di stoccaggio, in particolare è da citare il caso della S. Marco Petroli, collocata a ridosso della frazione di Malcontenta, la cui popolazione è in lotta per le alte concentrazioni di benzene che vengono riscontrate nei pressi dell’abitato, e per documentare le quali si è dotata di un apparecchio di rilevazione appositamente noleggiato, ottenendo finalmente  che anche l’ARPA regionale iniziasse le sue rilevazioni. Dal punto di vista sanitario la situazione è ben documentata dal Sesto Rapporto dello studio SENTIERI. Per quanto riguarda la popolazione generale i tassi di mortalità per tutte le patologie  sono in eccesso in entrambe i generi per tutti i tumori, per i tumori del colon retto, del fegato e del polmone, i mesotelioni pleurici, i tumori della vescica e le leucemie. Rispetto alla presenza del polo petrolchimico il rapporto segnala l’eccesso di leucemie sia come dato di mortalità in entrambi i generi, sia in termini di ospedalizzazione tra le femmine, e mette in rilievo inoltre un eccesso di ricoverati per leucemie linfoidi in età giovanile (20-29 anni).Tra le patologie associate a esposizione a diossine, contaminanti presenti nel sito, viene segnalato l’eccesso di mortalità e ospedalizzazione per linfomi non Hodgkin tra la sola popolazione maschile. Sul piano delle azioni di bonifica possibili progettate per porre le basi per un risanamento dell’area di Poro Marghera va citato il cosiddetto progetto “Vallone Moranzani” il quale prevede la realizzazione di un parco urbano di circa 200 ettari allocando su una collina sedimenti e fanghi derivanti dagli escavi dei canali e di depurazione civile, resi stabili e quindi non reattivi, realizzando una fascia verde per separare la zona industriale di Porto Marghera dai centri abitati più vicini, primo tra tutti proprio Malcontenta.

Purtroppo nel 2022 la Regione Veneto ha accantonato il progetto per problemi di bilancio. A questa battuta d’arresto nel processo di recupero ambientale , si affianca purtroppo il potenziamento dell’impianto di incenerimento della partecipata VERITAS per un potenziale di 400.000 tonnellate annue di CSS e fanghi di depurazione, e la progettata realizzazione da parte della società ENI Rewind di un impianto di trattamento per i fanghi di depurazione di tutto il Veneto per un totale di circa 190.000 tonnellate annue.

Concludo con le parole del rappresentante dell’Assemblea Permanente per il Rischio Chimico:” Oggi che il petrolchimico non esiste più, il pericolo per Porto Marghera e per la terraferma veneziana, viene dai nuovi progetti “ecosostenibili”, progetti che si spacciano  per verdi ma che continuano nel solco tracciato dall’industria petrolchimica”.