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VELENI. Come mai lo studio sugli effetti della contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche sulla popolazione esposta delle tre province venete non è mai partito? Medici per l’ambiente e cittadini chiedono chiarezza.

Nel comune di Lonigo, della ‘zona rossa’ vicentina contaminata dagli Pfas (sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate), le Mamme no Pfas e i medici Isde (associazione medici per l’ambiente) hanno chiesto chiarezza sullo studio epidemiologico non ancora partito.

La richiesta segue le sconvolgenti rivelazioni di Pietro Comba, già responsabile del Dipartimento di Epidemiologia ambientale dell’Istituto Superiore di Sanità, che durante il processo ai dirigenti della Miteni, sentito come testimone dall’accusa, aveva affermato che lo studio epidemiologico sull’impatto della contaminazione da Pfas era pronto per partire, nel 2018, ma fu bloccato per decisione politica. L’accordo tra Iss e Regione Veneta indicava anche una previsione di co-finanziamento, approvato da Iss mentre la Regione Veneta non lo ha mai sottoscritto.

Uno studio più volte richiesto anche dal presidente di Isde Veneto, il dottor Vincenzo Cordiano: «Noi da anni chiediamo alla Regione una indagine approfondita che valuti l’incidenza delle patologie Pfas associate e la correlazione con i livelli ematici di queste sostanze, nonché la mortalità per le principali cause di morte, come ad esempio tumori e malattie cardiovascolari. La mancanza di tali studi rappresenta un serio ostacolo al progresso delle conoscenze scientifiche ed impedisce la valutazione delle responsabilità degli inquinatori».

Intanto Isde ha dato avvio, grazie all’impegno del dottor Francesco Bertola, ad uno studio epidemiologico, finanziato dal basso insieme a comuni e cittadini, sulla associazione tra le concentrazioni nel sangue e nello sperma di Pfas e la fertilità nei maschi nati o residenti nella zona rossa del Veneto, visto che i Pfas, in quanto interferenti endocrini, mettono a rischio anche la salute riproduttiva.

Le Mamme no Pfas continuano a chiedere anche la messa al bando degli FPfas in Europa e limiti zero nelle acque potabili. «Non ci può essere un limite sicuro alle emissioni nell’ambiente di queste sostanze, che non sono distruttibili e quindi si accumulano nell’organismo e nell’ambiente» afferma Michela Piccoli, battagliera mamma che a giugno ha preso parte ad una delegazione “No Pfas” a Bruxelles.

FONTE: https://ilmanifesto.it/lo-studio-epidemiologico-ancora-non-ce-mamme-no-pfas-contro-la-regione-veneto