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Il convegno organizzato dal Coordinamento Orvietano, Tuscia e Lago di Bolsena, con il patrocinio dell’amministrazione  del Comune di Orvieto, ha voluto approfondire lo stretto legame tra benessere delle api, ambiente, alimentazione e salute umana. Tutte le relazioni scientifiche, che hanno visto il coinvolgimento dell’Università di Bologna, dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale del Lazio e della Toscana,  del CREA- Centro Ricerca agricoltura e ambiente, del World Biodiversity Association, del Centro Culturale di apicoltura naturale e biologica-Bioapi, della Scuola di apicoltura sostenibile e biodiversità di Lubriano,dell’Associazione medici per l’ambiente-Isde e di molti apicoltori locali, hanno voluto porre all’attenzione delle Istituzioni e dei cittadini lo stretto legame tra la vita delle api,il loro benessere e la  loro conseguente funzione di impollinazione e  quindi di produzione alimentare, l’ambiente e la salute umana.

E’ stato più volte sottolineato il ruolo ecologico delle api in quanto componente centrale degli ecosistemi, la loro funzione di sentinella ecologica e come la loro riduzione, scomparsa e morte segnali  l’inquinamento ambientale, dovuto perlopiù a pesticidi ( in particolare neonicotinoidi) così come  la presenza di metalli pesanti, pesticidi e altri contaminanti nei loro prodotti a cominciare dal miele. Da tutti gli interventi è emersa la necessità di difendere i territori dalle pratiche dell’agricoltura intensiva che utilizzando sostanze di sintesi chimica determina danno alle componenti vitali dei terreni, inquina aria ed acqua e contribuisce alla moria delle api e provoca danni economici rilevanti al settore dell’apicoltura. In particolare  la monocoltura della nocciola nei territori del viterbese, dell’Alto Lazio e più di recente anche in aree della vicina Umbria, si sta rendendo protagonista di questi danni ambientali e del conseguente rischio anche per la salute umana. La tutela quindi della biodiversità e del  benessere di tutte le specie vegetali ed animali, come il contributo alla riduzione del surriscaldamento climatico  si deve attuare anche con il  contrasto/ sostituzione  delle pratiche dell’agricoltura intensiva e  con  il forte contenimento/riconversione delle attuali monocolture.

 

Di seguito una sintesi dell’intervento della dottoressa Antonella Litta referente dell’Associazione medici per l’ambiente-Isde

“Con il termine generico di pesticidi si indicano tutte quelle le sostanze che interferiscono, ostacolano o distruggono organismi viventi (microrganismi, animali e vegetali) utilizzate nell’agricoltura intensiva di tipo industriale e che comprendono: diserbanti, fungicidi, insetticidi, nematocidi, erbicidi etc. Si tratta per la maggior parte di sostanze tossiche, persistenti, bioaccumulabili che possono penetrare nella catena alimentare anche come multiresidui e che si possono riscontrare perfino nei cordoni ombelicali e nel latte materno. Tali agenti hanno un impatto negativo non solo sugli organismi che vogliono contrastare e distruggere ma anche su moltissimi altri organismi viventi, interi ecosistemi, nonché sulle proprietà fisiche e chimiche dei suoli e sulla salute umana e quindi sarebbe più corretto indicarli come biocidi invece che con il più rassicurante termine di fitofarmaci.Attualmente, la massiccia e crescente diffusione di  biocidi/pesticidi nelle matrici ambientali – acqua, aria, suolo e alimenti- evidenzia un’esposizione biologica a tali sostanze e ai loro metaboliti le cui proporzioni devono essere seriamente ponderate in relazione ai loro documentati impatti negativi.

L’esposizione a “dosi piccole” ma prolungate nel tempo ovvero l’esposizione cronica è un problema che ormai non riguarda più solo le esposizioni professionali, ma l’intera popolazione attraverso il cibo, l’aria e l’acqua e rappresenta una preoccupazione di sempre maggior rilievo per la salute pubblica.I danni provocati da questi composti possono variare in relazione alla tipologia delle molecole considerate, alla loro quantità, alla compresenza di più principi attivi in miscele, ai contesti ambientali in cui tali molecole si disperdono, e alla diversità degli organismi esposti.

Una mole davvero imponente di studi scientifici, condotti a cominciare dagli anni ’70, ha comprovato come l’esposizione cronica a pesticidi possa comportare alterazioni di svariati organi e sistemi dell’organismo umano quali quello nervoso, endocrino, immunitario, riproduttivo, renale, cardiovascolare e respiratorio. L’esposizione a tali sostanze è pertanto correlata ad un incremento statisticamente significativo del rischio per molteplici patologie quali: neoplasie, diabete mellito, patologie respiratorie, malattie neurodegenerative (in particolare morbo di Parkinson, malattia di  Alzheimer, sclerosi laterale amiotrofica (SLA), malattie cardiovascolari, disturbi della sfera riproduttiva, disfunzioni metaboliche ed ormonali, specie a carico della tiroide.Particolarmente elevati sono i rischi per tumori del sangue. Anche nei bambini figli di agricoltori o comunque esposti a pesticidi aumenta il rischio di neoplasie, in particolare di linfomi, leucemie e tumori cerebrali. Particolarmente a rischio appare l’esposizione in utero: il rischio di leucemia infantile per esposizione residenziale è risultato il doppio dell’atteso per esposizione durante la gravidanza anche a pesticidi per uso domestico.

Tali rischi inoltre sono ancor più elevati se l’esposizione avviene nelle fasi più precoci della vita, a cominciare dal periodo embrio-fetale e proprio il cervello in via di sviluppo appare come un organo estremamente sensibile anche a  tali agenti. Una recente revisione della letteratura scientifica ha confermato che per esposizione in particolare a pesticidi organofosforici si registrano danni della sfera cognitiva, comportamentale, sensoriale, motoria, riduzione del Quoziente Intellettivo-QI e si evidenziano alterazioni specifiche negli esami di RMN cerebrale.Da segnalare anche il  legame, riportato dalla letteratura scientifica, tra esposizione a pesticidi e rischio di melanoma, una segnalazione da approfondire anche per la popolazione residente nella provincia di Viterbo come si evidenzia e conferma  a pag.4 del Report  2019 “ I tumori in Provincia di Viterbo”.

Alla luce di tutto ciò si rendono quindi necessarie scelte politico-economiche,auspicate ed indicate anche dalle più autorevoli istituzioni sanitarie come l’Organizzazione mondiale della sanità, (ad esempio ordinanze sindacali di divieto  assoluto dell’utilizzo di fitofarmaci e mense scolastiche ed ospedaliere rifornite con prodotti biologici e locali), e scelte individuali di sani stili di vita che possano generare importanti benefici per la salute pubblica. Anche le drammatiche quanto emblematiche storie di molti bacini lacustri evidenziano la necessità di un rapido abbandono dell’agricoltura intensiva e chimica in favore di una agricoltura più sana, naturale, ecologica, rispettosa cioè della composizione e della vitalità dei suoli, della biodiversità e non asservita alle logiche di sfruttamento e profitto delle monocolture, che non inquini l’aria, l’acqua e quindi il cibo; una agricoltura che sappia riappropriarsi delle conoscenze e dei saperi acquisiti nel corso dei millenni di storia umana, ricominciando a produrre rispettando i naturali cicli della terra e insieme la dignità del lavoro, tutelando così l’ambiente e la salute di tutti a cominciare proprio da quella degli agricoltori e delle loro famiglie”.