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Fabrizio Bianchi, Epidemiologo ambientale dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa, ha pubblicato recentemente sul quotidiano “Domani” due interessanti articoli sul tema del negazionismo climatico, Il negazionismo come male cronico. Le ragioni della sfiducia nella scienza e È la scienza l’unica arma efficace contro i “mercanti di dubbi”.

Vediamo in sintesi le argomentazioni proposte.

  • Il negazionismo climatico è insidioso perché ha l’obiettivo di instillare il dubbio che le prove siano deboli e incomplete, di rafforzare lo scetticismo, alimentare la sfiducia verso la scienza e la sottovalutazione politica. 
  • Nonostante la mole enorme e la qualità indiscutibile dei risultati scientifici conseguiti sulla crisi climatica e sulle responsabilità delle attività umane nell’arco degli ultimi decenni, si sono continuate a registrare voci dissonanti. 
  • Seminare dubbi e dividere l’opinione pubblica è l’obiettivo principale dei negazionisti, «mercanti di dubbi». Non confondere le opinioni personali da posizioni basate su prove rigorose, non solo a proposito delle cause e della gravità della crisi climatica ma anche delle azioni di mitigazione e di contrasto.

Il cambiamento climatico è la minaccia più importante per l’umanità intera

Dal 1990 i rapporti dell’Ipcc, delle agenzie dell’Onu (Unep sull’ambiente, Oms sulla salute), dell’Unione europea, di riviste scientifiche come il Lancet Countdown (conto alla rovescia!), basati sull’analisi sistematica della letteratura scientifica, costituiscono una base così rilevante da far sostenere all’Oms che il cambiamento climatico è la minaccia più importante per l’umanità intera. 

Gli scenari previsti per aumenti di temperatura planetaria fino a 1,5 °C, e per temperature superiori, sono corredati di limiti di incertezza previsionale ma, e qui sta il punto chiave, anche assumendo lo scenario più ottimista, le conseguenze previste vanno dal grave al disastroso. 

La comunità scientifica mondiale è pienamente concorde in questa direzione. Significativa è la recente lettera scritta da più di 1.200 accademici inglesi alla Royal Society, l’associazione dei più eminenti scienziati del mondo, per chiedere una “dichiarazione inequivocabile sulla colpevolezza dell’industria dei combustibili fossili nel guidare la crisi climatica”.

Il negazionismo climatico

Il negazionismo climatico, più o meno strisciante, si protrae ormai da tempo, con picchi di irruenza che evidentemente fanno audience e gioco ad alcuni, si registra una sorta di “cronicizzazione” dalle conseguenze non trascurabili. Caldo come sempre d’estate, gli incendi ci sono sempre stati, alluvioni e dissesti anche, cambiamenti si ma non di origine antropica, esagerazioni dei soliti ecologisti, e via di questo passo. Al di là delle posizioni negazioniste della crisi climatica più smaccatamente provocatorie (certi media ne fanno un tratto distintivo) e di quelle al servizio di chi ha interesse nel continuare a produrre come è stato fino ad oggi (più difficili da smascherare), quali sono le radici di posizioni a- scientifiche o anti-scientifiche tanto sfacciate? Che suscitano senso di incredulità o di vergogna da parte di alcuni o di attenzione se non di apprezzamento da parte di altri? La scienza è al centro di un gioco pericoloso, come oggetto da una parte di richieste di risposte certe e dall’altra di posizioni di negazione di qualcosa che viene ritenuto o proposto come falso o errato. Il rischio concreto è che si alimentino atteggiamenti di sfiducia rispetto alla scienza. La fiducia è dipendente da tanti fattori, socio-economici, culturali, politici, tutti elementi che incidono sulle opportunità di accesso, sulla capacità critica, sull’affidamento o riverenza rispetto alle fonti informative e alle istituzioni.

I paesi caratterizzati da debole cultura scientifica, com’è il caso dell’Italia, sono particolarmente esposti alla “incontinenza” mediatica e alla erosione della fiducia nella scienza. La posta in gioco e le conseguenze non dovrebbero essere sottovalutate. Nel 19° secolo si usava il termine “oscurantismo” soprattutto in contrapposizione a illuminismo o ad altri termini di valore più assoluto (progresso, civiltà, libertà, ecc.), “un atteggiamento di opposizione sistematica al diffondersi dell’istruzione, al progresso, all’evoluzione sociale” (da vocabolario Treccani).

Per chi la scienza la pratica e la insegna un sovrappiù di responsabilità sembra d’obbligo, non tanto per trasferire con maggiore decisione dati e nozioni ma, soprattutto, per spiegare il metodo scientifico e dare strumenti indispensabili alla lettura e alla interpretazione autonoma di messaggi e testi.

L’approccio scientifico

La conoscenza dell’approccio scientifico accreditato è condizione fondamentale per aumentare la fiducia e contrastare le banalizzazioni, le forzature o peggio le brutalizzazioni. Per prima cosa occorre chiarire che quando si parla di scienze naturali e sociali, da quelle ambientali a quelle umane, il metodo di studio è di tipo osservazionale, cioè basato sull’osservazione dei fenomeni, non potendo fare esperimenti decisi e controllati dal ricercatore. L’osservazione di fenomeni è irta di difficoltà e incertezze ma, proprio per questo, sono stati messi a punto disegni e metodi di studio standardizzati, in grado di rendere i risultati validi e riproducibili. La mancata adesione al metodo scientifico accreditato, per fare presto o per avvalorare ipotesi di comodo, adottando metodi soggettivi e osservazioni disconnesse, produce scienza spazzatura (junk science).

Stiamo assistendo ad un grande esperimento a cielo aperto in cui avvengono modificazioni degli ecosistemi e della salute umana e animale, causate più o meno direttamente da azioni antropiche, e abbiamo a disposizione metodi e strumenti potentissimi di pianificazione, acquisizione e elaborazione dati, che permettono di fare osservazioni su scale ed in dettagli difficilmente pensabili solo qualche decennio addietro. La chiave di volta per studiare bene e produrre cambiamento sta nel pianificare gli studi e svolgere osservazioni empiriche in modo sistematico, secondo il metodo galileiano (via aperta già da Euclide e Archimede), che portò a considerare “scienza” solo quel complesso di conoscenze ottenute dall’esperienza e a questa funzionali.

Non si tratta cioè di stabilire leggi universali sulla base di osservazioni singole (metodo induttivo, aristotelico) ma di dedurre una conclusione a partire da una ipotesi credibile, attraverso una serie di passaggi inferenziali e la verifica dell’ipotesi stessa. Galilei le chiamava le «necessarie dimostrazioni» e definiva la sperimentazione come «sensate esperienze», intendendole finalizzate, costruite e programmate.

Dunque, nelle discipline scientifiche osservazionali non esistono lavori scientifici in grado da soli di stabilire verità ma si procede in altro modo: si fanno osservazioni diverse, basate sullo stesso tipo di studio ma svolte in circostanze e situazioni diverse e altre basate su studi di tipo diverso, per produrre risultati stabili, riproducibili e cumulabili, poi si fanno valutazioni sulla portata e sul segno dei risultati. Il meccanismo del consolidamento della conoscenza è quello di un potenziometro con cui si da alla luce più o meno intensità, mentre non esiste o è estremamente raro il lavoro scientifico che da solo dice tutto, come fosse un interruttore off/on.

Una disciplina faticosa e sfidante assunta da ricercatori e istituzioni scientifiche, che viene letteralmente svilita da quelle affermazioni negazioniste che con ostentazione e noncuranza sostengono che non ci sono dati, che i metodi sono fallaci e che altri dati dicono altro. La comparazione tra esternazioni o studi estemporanei, eseguiti da singoli o gruppi (con conflitti di interessi spesso non dichiarati), e studi condotti da panel di istituzioni pubbliche è una operazione metodologicamente sbagliata ed eticamente esecrabile, o almeno così dovrebbe essere considerata in una società sana.

Risorse

Bene inteso, i lavori scientifici sono criticabili ma non sulla base di congetture, di dati parziali, di osservazioni “a braccio”, con l’obiettivo di criticare situazioni complesse attraverso un approccio riduzionista esasperato. Il sistema climatico, gli ecosistemi, gli organismi viventi, il sistema umano, i sistemi sociali e quelli economici sono tutti sistemi complessi, a complessità variabile a seconda della quantità e varietà delle relazioni non- lineari fra gli elementi del sistema e la complessità dipende sia dal modello utilizzato nella descrizione sia dalle variabili prese in considerazione.

Più la situazione è complessa e critica più occorrere valorizzare la conoscenza storicamente acquisita e al contempo aderire a semplici regole, la prima delle quali ritengo che sia la necessità di argomentare razionalmente sulla base di dati di pubblico dominio, anziché dare ricette basate su dati controversi, usati in modo parziale e proponendo come proposizioni scientifiche quelle che sono mere opinioni. Quando invece i dati disponibili non sono sufficienti per un’argomentazione cogente, dovrebbe essere spiegata l’incertezza e incoraggiato il dissenso e la competizione fra diverse ipotesi senza pretendere di stabilire prematuramente nuovi paradigmi.

Per evitare di continuare a costruire sulla sabbia, abbiamo bisogno di una iniezione formidabile di risorse in istruzione, formazione, ricerca scientifica, per aumentare il livello culturale del paese.