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La prima causa legale contro lo Stato italiano per inadempienza climatica, promossa da numerose associazioni sotto la denominazione di “Giudizio universale”,  continua ad andare avanti, tra fermi e sospensioni dovute per lo più ai tempi dei processi civili.

Mentre nelle aule di tribunale gli avvocati dei promotori stanno mantenendo l’impianto accusatorio fondato sull’atto di citazione, la rete di attiviste e attivisti stanno continuando a diffondere la campagna nei territori e sui media.

Questa duplice natura di Giudizio universale permette di interrogarsi su quanto avviene nel nostro Paese, tra criminalizzazione e negazionismo, eventi estremi e dissesto idrogeologico.

La crisi climatica colpisce i territori, lo fa con sperequazioni e con un impatto negativo su chi è più fragile. Lo Stato non ha fatto abbastanza per evitare le conseguenze del riscaldamento globale, non ha concretizzato un percorso di mitigazione capace di ridurre le emissioni. Per questo oggi è in tribunale, per questo deve essere condannato.

La posizione dello Stato nell’ultima udienza: sottrarsi al giudizio

Ma a che punto è la causa? Come si sta difendendo lo Stato in tribunale? Nel corso dell’ultima udienza, quella del 21 giugno del 2022, l’avvocatura dello Stato ha indicato una precisa strategia, ossia allontanare la possibilità di un giudizio, cercando di non rispondere nel merito delle accuse ma di puntare a definire illegittima la nostra azione legale.

Aprire un contenzioso legale ha permesso di far sedimentare un dibattito sulle climate litigation in Italia, ha generato una discussione accademica sulle responsabilità dello Stato, portando davanti a un giudice una richiesta di condanna per non aver considerato le nuove evidenze scientifiche sulla crisi climatica che parlano in modo esplicito di minaccia per la popolazione. Di fronte a un pericolo annunciato, nessun potere può decidere di ignorare allarmi o di non agire. Ed è su questa condotta che Giudizio Universale impone una riflessione; un precedente in giurisprudenza difficile da archiviare.

L’udienza del 21 giugno

L’udienza ha visto il confronto tra le posizioni presentate dalle parti.

Gli attori, per voce degli avvocati Luca Saltalamacchia e Michele Carducci, hanno potuto esporre i punti salienti delle ragioni dell’azione e confutare le eccezioni sollevate dallo Stato. I ricorrenti basano le loro istanze su un’ampia documentazione scientifica prodotta, tra gli altri, dal centro studi di massima autorevolezza internazionale Climate Analytics. Sulla base delle evidenze presentate, le misure adottate dallo Stato per contrastare l’emergenza climatica risultano del tutto inadeguate. DI conseguenza, gli attori hanno chiesto alla giudice di valutare la condotta dello Stato alla luce delle evidenze presentate o eventualmente nominando un esperto.

La posizione dello Stato, per contro, è quella di sottrarsi al giudizio rivendicando addirittura l’immunità delle proprie scelte, ovvero l’impossibilità di giudicarne le condotte.
Dopo un’ampia discussione la giudice si è riservata di adottare i provvedimenti opportuni.

I commenti del team legale e dei ricorrenti

“Se la tesi dell’avvocatura fosse accolta, ai cittadini e alle cittadine verrebbe precluso l’accesso alla giustizia, a differenza di quanto accaduto ad esempio in Olanda, Francia, Germania e tanti altri paesi dell’Unione Europea e non solo. In tali Paesi non solo il giudice ha potuto valutare l’adeguatezza delle politiche climatiche nazionali, ma ha anche condannato gli Stati a migliorare i propri target di riduzione” ha dichiarato l’Avv. Luca Saltalamacchia, del team legale che assiste i ricorrenti.

Per Michele Carducci, avvocato e docente di Diritto Costituzionale Comparato e Diritto Climatico dell’Università del Salento, tra i patrocinanti della causa: “Lo Stato ritiene che il ricorso alla migliore scienza, utilizzata dai ricorrenti, implichi addirittura una sovversione dei poteri democratici, quando lo stesso Stato in altri giudizi ha rivendicato la centralità dell’uso della scienza per limitare i propri poteri e garantire trasparenza nelle proprie azioni”.

Per Marica Di Pierri, portavoce dell’Associazione A Sud, prima firmataria del ricorso e promotrice della campagna Giudizio Universale “Resta un dato di fatto. confermato oggi in udienza: lo Stato non ha prodotto alcuna evidenza scientificamente verificabile sull’efficacia delle proprie azioni, né si è scomodata a confutare le evidenze che abbiamo presentato. Si limita, invece, a rilievi formali che intendono di fondo evitare il processo senza mettersi in ascolto delle istanze di protezione presentate dai 203 ricorrenti. Nonostante l’udienza si celebri nel primo giorno di una estate che si preannuncia la più calda della storia, con una crisi idrica senza precedenti, lo Stato continua colpevolmente a sottovalutare l’emergenza climatica e a non assumersi le sue responsabilità. Dentro il tribunale come nei palazzi istituzionali.”

Tra le altre organizzazioni promotrici della campagna, molte delle quali sono anche ricorrenti nell’azione legale, ci sono la SMI – Società meteorologica italiana, l’ISDE – Medici per l’ambiente Italia, il movimento Friday for Future, le associazioni Terra! e Coordinamento No TRIV, il CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali e decine di comitati ecologisti attivi in tutta Italia.

Il climatologo Luca Mercalli, ricorrente della causa e tra i promotori della campagna con la Società Meteorologica Italiana, ha commentato l’udienza a partire dalle cronache drammatiche di questi giorni: “L’emergenza climatica è sotto gli occhi di tutti. Il Po sta vivendo una delle peggiori secche della storia, la crisi idrica ha costretto oltre un centinaio di comuni del nord a dichiarare lo stato di emergenza e a razionare l’acqua, l’agricoltura è in ginocchio. Sulle Alpi la riserva idrica sotto forma di neve è esaurita con oltre un mese e mezzo d’anticipo e le temperature di maggio e giugno sono prossime ai record plurisecolari di caldo. Oggi più che mai è fondamentale che le istituzioni pubbliche ascoltino la scienza e agiscano con decisione e rapidamente per evitare uno scenario climatico drammatico e irreversibile.”

Per Francesco Romizi dell’ISDE – Medici per l’Ambiente Italia, “Non possiamo mantenere uno stato di salute duraturo se l’ambiente non è sano. È piena responsabilità dei governi garantire il benessere dei cittadini. L’Italia non sta facendo ancora abbastanza per rispettare gli accordi internazionali sul clima. Auspichiamo che la giustizia faccia il suo corso e che le nostre richieste per ottenere politiche climatiche più ambiziose venga accolta. In quanto cittadini, ma soprattutto in quanto medici, vogliamo che tutte le Istituzioni si rendano conto che come è nostro compito curare al meglio le malattie, il loro è tutelare il bene