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Nell’articolo pubblicato su “Il fatto quotidiano” una dichiarazione di Maria Grazia Petronio (Giunta esecutiva Isde Italia).


“Cinquecento milioni per il fondo Loss&Damage mondiale? Per capire quanto sia ridicolo basti pensare che solo in Emilia Romagna le alluvioni di maggio hanno causato danni per 8.8 miliardi di euro e le attuali stime dei danni subiti dai paesi in via di sviluppo sono circa 400 miliardi all’anno. La Cop ha fallito ancora”. Non hanno dubbi sull’esito dell’ultima conferenza mondiale sul clima a Dubai gli attivisti di Extinction Rebellion, che in un duro post su Facebook ironizzano sul fatto che ci siano voluti “trent’anni per raggiungere un accordo che riconosca che il riscaldamento globale è un effetto delle attività umane”. Posizione simile a quella dei Fridays For Future, che denunciano soprattutto il completo abbandono dell’agenda MAPA, ovvero dei “Most Affected People and Areas”, un cavallo di battaglia del movimento nato dagli scioperi di Greta Thunberg. “I paesi del sud del mondo chiedevano l’eliminazione del debito, tema passato sotto traccia, e che l’accesso ai fondi fosse diretto, senza austerità e condizionalità. Non c’è stato nulla di ciò, per questo fatichiamo a vederlo come un accordo storico, come lo ha definito la stampa, con una copertura quasi stucchevole. La dura verità è che ai paesi del sud del mondo sono andati spiccioli”, spiega l’attivista Marzio Chirico.

Il mancato impegno per la finanza climatica indispensabile per aiutare i paesi poveri è uno dei tre talloni di Achille dell’accordo anche secondo l’associazione Legambiente, insieme “al ricorso alle tecnologie di abbattimento di CO2 e all’utilizzo di fonti fossili come combustibili di transizione”. E un’identica denuncia arriva da Save The Children: “L’importanza dell’accesso ai finanziamenti per il clima da parte delle comunità locali così come l’inclusione del rispetto dei diritti umani sono drammaticamente marginali nel nuovo accordo”.
Fame (e agricoltura sostenibile) dimenticate – Il tema del mancato aiuto ai paesi meno ricchi è particolarmente sentito dalle ong e associazioni che si occupano di agricoltura, fame nel mondo, paesi poveri. Oxfam Italia ha dichiarato che “i paesi ricchi hanno mancato ancora una volta i propri obblighi nel fornire aiuto alle persone colpite dagli impatti devastanti del cambiamento climatico”, che ora “si trovano a fronteggiare non solo la crisi climatica ma anche maggiori debiti e crescente diseguaglianza, con meno aiuto, più pericoli, fame e privazioni”. Azione contro la Fame, per voce del direttore Simone Garroni, parla di risultati insufficienti, con dichiarazioni non vincolanti, che non bastano “per affrontare gli impatti devastanti della crisi climatica sulla sicurezza alimentare e nutrizionali di milioni di persone”. “È necessario”, prosegue Garroni, “rendere concreta una trasformazione equa e sostenibile dei sistemi agroalimentari, ascoltando le voci di coloro che sono colpiti dalla fame e dall’insicurezza alimentare ed attingendo ad approcci inclusivi e trasformativi come l’agroecologia”. Sull’agro-ecologia dimenticata punta il dito anche Navdanya International, l’associazione legata a Vandana Shiva, per voce del giornalista Manlio Masucci: “L’agricoltura industriale, che rappresenta un terzo del problema dei cambiamenti climatici, è stata liquidata con una dichiarazione molto generica mentre si offre il palcoscenico a personaggi discutibili come Bill Gates, apostolo e finanziatore della devastante rivoluzione verde. Ma l’assunto che si possa risolvere la crisi del clima solo con le nuove tecnologie senza un cambiamento dei sistemi di produzione e di distribuzione globali energivori a favore di sistemi agroecologici e a basso impatto è fuorviante e controproducente”.
Un testo vago e pieno di scappatoie –

L’altro punto contestato dalle associazioni, oltre all’abbandono dei paesi del sud del mondo e ovviamente ad esso legato, è la vaghezza di un accordo che non stabilisce una tabella di marcia chiara verso l’uscita dal fossile. “Il testo definitivo del Global Stocktake non contiene riferimenti all’ultimo rapporto Ipcc e il riferimento all’abbandono delle fonti fossili resta molto vago e presenta ancora troppe scappatoie, per esempio individuando nel gas un ‘combustibile di transizione’ e ponendo l’avvento sulla cattura e stoccaggio del carbone”, lamentano gli attivisti di Scientist Rebellion Italia, che criticano la scelta di Baku, ennesimo paese dipendente dal fossile, come sede della prossima Cop, così come il fatto che la partecipazione della società civile sia stata del tutto minoritaria all’interno delle Cop e che ci fosse la presenza di “una nutrita delegazione di Eni che continua a rafforzare la sua presenza negli Emirati”. Gli scienziati attivisti, inoltre, fanno notare la contraddizione stridente per cui, mentre la Cop si chiudeva, gli attivisti di Ultima Generazione in Italia, solo nell’ultimo mese, venivano arrestati, oppure colpiti con fermi identificativi (“28”), fogli di via di quattro anni (“5”) e daspo (“3”). A denunciare la vaghezza dell’accordo finale, sono anche le associazioni che si occupano di rinnovabili. “Senza impegni finanziari certi né obblighi specifici l’obiettivo di 1,5 gradi non sarà raggiunto visto che oggi la traiettoria di decarbonizzazione è abbondantemente distante da 1,5°C e anche dall’obiettivo meno ambizioso di 2°C”, spiega Attilio Piattelli, presidente del Coordinamento FREE. Per fortuna, la drastica riduzione del costo delle rinnovabili e gli enormi progressi dei sistemi di accumulo fanno sì che, continua Piattelli, “saremo noi a determinare nei fatti la possibilità di far uscire i combustibili fossili dalla storia”. “Nel testo sentiamo ancora gli interessi non solo dei paesi produttori di petrolio, ma delle potenti compagnie occidentali, incluse le nostre, che cercheranno di farci comprare, a caro prezzo, sino all’ultima goccia di petrolio e molecola di gas naturale”, denuncia Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia, che definisce “pessima la menzione dei combustibili per la transizione”. “Questo non è l’accordo storico di cui il mondo aveva bisogno”, chiosa a sua volta Greenpeace. “Il messaggio essenziale rischia di essere oscurato da distrazioni pericolose e da mezzi insufficienti per conseguire gli impegni in maniera rapida ed equa”.
Se la salute globale è a rischio – Ci sono infine altri aspetti sollevati dalle associazioni. Ad esempio il fatto che il tema della salute sia stato sottostimato, come denuncia Maria Grazia Petronio, medico e vicepresidente Isde: “Non aver posto come urgente l’uscita dai combustibili significa aver ignorato, non solo la gravità degli eventi estremi che già oggi si fa fatica a fronteggiare e che sempre di più danneggeranno anche le strutture sanitarie, ma significa aver ignorato totalmente la strage silenziosa da inquinamento atmosferico, cui contribuisce in maniera determinante l’estrazione, la produzione e l’uso dei combustibili fossili. Si ricorda, infatti, che in Italia si stimano circa 70.000 morti premature all’anno per le sole emissioni di PM, NOx e ozono”. Sulla salute insiste anche Amref Italia, che interviene sull’esito della Cop28 con un commento di Martin Muchangi, direttore di Population Health e Environment presso Amref Health Africa. “Anche le infrastrutture sanitarie sono soggette a impatti climatici negativi. Vengono spazzate via o succede qualcosa del genere. Le strade sono sommerse e le comunità non possono accedere alle strutture sanitarie”. Muchangi critica il fatto che la volontà politica e l’architettura finanziaria decisa dalla Cop28 non sia allineata alla volontà di uscire dalle fonti fossili, si chiede perché i finanziamenti alle comunità colpite debbano passare per le istituzioni della Bretton Wodds (come la Banca Mondiale) e infine torna sul tema dell’importo degli impegni presi per i paesi più colpiti: “Una semplice analisi ha dimostrato che se si prendono tre giocatori di calcio molto pagati come Ronaldo, Messi e Neymar, questi hanno un portafoglio di guadagni totale superiore a quello impegnato dal Brasile. E questo è davvero un peccato”.