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I bambini già nel corso dei primi anni della loro vita sono potenzialmente esposti a molti ambienti diversi che, interagendo insieme a determinanti sociali e nutrizionali, possono influenzarne in modo significativo la crescita e lo sviluppo. Annamaria Sapuppo (ACP, pediatri per un mondo possibile), Elena Uga (ISDE Italia, Vercelli, ACP Pediatri per un mondo possibile) hanno un pubblicato su Panorama Sanità, un articolo nel quale spiegano come proteggerli dai rischi ambientali.


I bambini. già nel corso dei primi anni della loro vita. sono potenzialmente esposti a molti ambienti diversi che, interagendo insieme a determinanti sociali e nutrizionali, possono influenzarne in modo significativo la crescita e lo sviluppo.

Secondo il rapporto pubblicato da WHO nel 2017, a livello globale un bambino su quattro muore in età pediatrica per insalubrità dell’ambiente in cui vive, con una percentuale maggiore rispetto ai soggetti adulti, in quanto i più piccoli presentano proporzionalmente una più ampia superficie corporea esposta, la loro cute risulta  maggiormente permeabile, la loro barriera emato-encefalica ancora immatura, quindi  più sensibile ai danni neurologici.

In generale, i rischi ambientali appaiono distribuiti in modo iniquo: le popolazioni più esposte sono in genere quelle dei paesi in via di sviluppo e appartenenti alle fasce socioeconomiche più basse nei paesi industrializzati: inquinamento atmosferico ed ambientale, esposizione ad umidità e fumo passivo, limitato accesso ad acqua potabile e servizi igienico-sanitari adeguati nelle abitazioni sono i principali problemi da affrontare (1).

Attualmente, tra le esposizioni ambientali, a seguito anche dei cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo, l’inquinamento atmosferico assume un ruolo di primo piano. Sempre più spesso la popolazione residente nelle aree urbane è esposta a temperature più elevate, a causa dell’incremento dell’emissione di gas serra e di alti livelli di inquinanti (ozono, NO2, PM10 e PM2,5…) rispetto alle concentrazioni massime che sarebbero consentite per legge e suggerite da organizzazioni internazionali quali l’OMS.

La conseguenza di ciò è  un impatto significativo sulla salute dei bambini che, in caso di eccessivo innalzamento della temperatura, sono inoltre più esposti al rischio di “colpi di calore”, “squilibri elettrolitici”, “disidratazione” per l’immaturità dei loro meccanismi termoregolatori, così come risentono maggiormente degli effetti esercitati dalle radiazioni ultraviolette.

La siccità, anch’essa effetto dell’aumento delle temperature, comporta  a sua volta rischi diretti per la salute (incendi), ma anche indiretti, incrementando il rischio di malattie respiratorie, infezioni, problemi di salute mentale e denutrizione. All’opposto, un aumento dei livelli e della frequenza delle precipitazioni è correlato ad un aumentato rischio di inondazioni e conseguente mortalità e morbilità, sia da traumi diretti (ad esempio, annegamento), che indiretti (infezioni, come la malaria, e disturbi respiratori).

Nello specifico, i repentini cambiamenti climatici, incrementando anche l’inquinamento atmosferico, contribuiscono ad un alterato sviluppo polmonare e di capacità di clearance mucociliare nei più piccoli, nonché all’incremento dell’incidenza di tosse cronica, asma, infezioni delle basse vie respiratorie e conseguente aumento dei ricoveri ospedalieri. Tale esposizione può anche influenzare lo sviluppo neuro-cognitivo, la predisposizione verso alcune malattie metaboliche e contribuire all’insorgenza di disturbi comportamentali in età scolare (2-4).

Il recentissimo studio CHAMACOS (5) ha evidenziato che questo processo può iniziare già “in utero”, non solo per il rischio aumentato di parto prematuro, mortalità neonatale e minor peso alla nascita, ma anche influenzando il quoziente intellettivo del nascituro attraverso un’azione “mutagena” che è maggiore nelle cellule fetali ad alta attività replicativa.

Da ciò deriva l’importanza di intervenire precocemente già nei “primi 1000 giorni” di vita, dal concepimento ai primi due anni d’età. Come definito dalla Developmental Origins of Health and Disease (DOHAD) (6), le risposte di adattamento del feto alle esposizioni avverse potrebbero aumentare il rischio di sviluppare malattie e malformazioni congenite attraverso alcuni meccanismi definiti “epigenetici” (metilazione del DNA, lunghezza dei telomeri), che modificano l’attività di espressione genica del DNA, senza tuttavia mutarne la sequenza originale.

In questo contesto, anche gli interferenti endocrini (diossine, ftalati, fenoli, triclosan…) dispersi nell’aria rappresentano una minaccia ambientale, soprattutto per i più piccoli, spesso a contatto con terreno e pavimento, ma si possono ritrovare anche nell’acqua o nei cosiddetti “Food Contact Materials”, materiali che vengono in contatto con gli alimenti durante le varie fasi di produzione, imballaggio, trasporto e stoccaggio e del cui effetto si sa ancora ben poco.

Questo fa riflettere sul fatto che non esiste solo un inquinamento “outdoor”, ma anche uno “indoor”, rappresentato, dal fumo di sigaretta, dai sistemi di riscaldamento e condizionamento, dagli inquinanti esterni depositati nella polvere, dai disinfettanti, detersivi, conservanti, plasticizzanti e così via. Basti pensare, ad esempio, che il fumo è dannoso non solo per chi fuma direttamente, specie in gravidanza (rischio di parto pretermine, basso peso alla nascita e malformazioni congenite), ma anche per chi respira l’aria dove altre persone hanno fumato (fumo passivo, “di seconda mano”); inoltre, le sostanze tossiche si depositano su vestiti, tappeti e soprattutto sulla pelle (fumo di “terza mano”), da cui possono essere ulteriormente assorbite.

Oltre alle particelle derivate dal fumo, anche le cosiddette “microplastiche”, derivate dalla frammentazione dei materiali plastici, possono rappresentare una fonte inquinante ancora poco “studiata”, che potrebbe interferire con la funzionalità del sistema endocrino e lo sviluppo del sistema nervoso, nonché favorire la comparsa di infiammazione negli epiteli di assorbimento (intestinale, cutaneo) (7).     

In conclusione oggi è necessario e urgente agire sulle famiglie, promuovendo la consapevolezza sull’argomento “inquinamento e salute”, ma anche coinvolgere maggiormente i medici ed i pediatri, spesso non adeguatamente consapevoli nè formati sul problema. Investire nella salute dei bambini (così come sulla salute globale in generale) riducendone l’esposizione ai rischi ambientali, deve essere una priorità assoluta di tutti i Paesi, in quanto solo in ambienti “sani” i bambini hanno a disposizione le risorse per poter diventare “adulti sani”, capaci di affrontare le sfide del futuro. 

Bibliografia

  1. World Health Organization. (‎2017)‎. Inheriting a sustainable world? Atlas on children’s health and the environment. World Health Organization. https://apps.who.int/iris/handle/10665/254677
  2. Porta D, Narduzzi S, Badaloni C, et al. Air pollution and cognitive development at age 7 in a prospective italian birth cohort. Epidemiology 2016;27:228-36.
  3. Guxens M, Garcia-Esteban R, et al. Air pollution during pregnancy and childhood cognitive and psychomotor development: six European birth cohorts. Epidemiology. 2014 Sep;25(5):636-47.
  4. Morgan ZEM, Bailey MJ, Trifonova DI, Naik NC, Patterson WB, Lurmann FW, Chang HH, Peterson BS, Goran MI, Alderete TL. Prenatal exposure to ambient air pollution is associated with neurodevelopmental outcomes at 2 years of age. Environ Health. 2023 Jan 24;22(1):11.
  5. Holm SM, Balmes JR, Gunier RB, Kogut K, Harley KG, Eskenazi B. Cognitive Development and Prenatal Air Pollution Exposure in the CHAMACOS Cohort. Environ Health Perspect. 2023 Mar;131(3):37007. 
  6. Silveira PP, Portella AK, Goldani MZ, Barbieri MA. Developmental origins of health and disease (DOHaD). J Pediatr (Rio J). 2007;83(6): 494-504.
  7. A.Moschetti, A.Sapuppo, G.Toffol, E. Uga. Inquinamento da microplastiche e salute: cosa ne sappiamo e cosa può fare il pediatra. Anno 2023, Volume 30, N.2, Pag. 81-83