Nell’estate del 2018 a Brescia, l’epidemia dovuta a Legionella aveva sollevato alcune problematiche che andavano oltre la contingenza dell’evento che investiva una vasta area del bresciano e dell’alto mantovano. Già questo evento, limitato ma di notevole impatto, richiamava la necessità di esplorare l’influenza delle attività umane e processi economici sulla dinamica del paesaggio e dei patogeni, sarebbe di vitale importanza per prevenire una grande parte di malattie infettive oltre che delle malattie non trasmissibili. Limitare l’attenzione alle cause ultime, pur necessaria, non deve distogliere l’attenzione dalle dinamiche ecologiche e climatiche che renderanno questi eventi più frequenti. L’emergenza Coronavirus (Sars-Cov-2) richiama con urgenza l’attenzione alle interazioni tra cambiamento ambientale e insorgenza di malattie infettive. Sono infatti crescenti le prove che legano causalmente questi due fenomeni. Le emergenze dovute a virus mortali associate a comportamenti umani sono tuttavia numerosissime. L’HIV, Ebola, la febbre emorragica in Argentina e Bolivia, nel sud-est asiatico, il virus Nipah, vi sono state epidemie di virus Chedesungunya e Zika. Circa il 70% delle malattie infettive emergenti, e quasi tutte le pandemie recenti, hanno origine negli animali e la loro emergenza deriva da complesse interazioni tra animali selvatici e/o domestici e umani. Nel mondo di 7,8 miliardi di persone, comportamenti umani impattanti sull’ambiente cambiamenti ambientali e inadeguati sistemi di salute pubblica globale rendono i virus degli animali una minaccia per l’uomo. In un ecosistema globale. Gli ecosistemi possono svolgere un ruolo importante nella regolazione delle malattie mantenendo le dinamiche naturali delle malattie nelle comunità faunistiche e riducendo la probabilità di contatto e trasmissione di agenti patogeni tra esseri umani, bestiame e fauna selvatica. Per raggiungere gli obiettivi sostenibilità ambientale, ricercatori e decisori dovrebbero prendere in considerazione le interconnessioni dell’emergenza della malattia e il loro impatto sociale più ampio. Sono necessarie politiche ambientali che promuovano la pianificazione sostenibile dell’uso del suolo, la riduzione della deforestazione e la protezione della biodiversità. Tali politiche devono promuovere la strategia di “risparmio di terre” nei paesaggi di produzione, che mira a conciliare le attività agricole e la conservazione della biodiversità ma riduce anche l’interazione dell’uomo e degli allevamenti di animali con la fauna selvatica. Analogamente, la protezione dei paesaggi forestali intatti può favorire la conservazione della biodiversità e lo stoccaggio globale del carbonio, prevenendo al contempo il rischio di trasmissione di malattie all’uomo. Infine evitare azioni disgregatrici della società, come quelle generate dai conflitti armati, rafforza gli sforzi per mitigare il rischio di pandemie: ridurre l’instabilità locale e internazionale è essenziale per prevenire la diffusione della malattia, anche per gli agenti infettivi sull’orlo dell’eradicazione. La necessità di un cambiamento radicale si impone anche per affrontare le pandemie.
Dr. Celestino Panizza
Associazione Medici per l’Ambiente ISDE- Italia Presidente sez. Brescia