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Lo scorso 9 dicembre è apparso sull’allegato del Corriere della Sera, Buone Notizie, un’intervista a Stefano Ciafani, Presidente nazionale di Legambiente; nell’intervista, Ciafani, annovera la nostra associazione, Medici per l’ambiente, tra i ” finti ambientalisti” perchè ci opponiamo agli impianti a biometano, agli impianti di riciclo e alle acciaierie decarbonizzate.

Abbiamo ritenuto opportuno inviare alla redazione del quotidiano la nostra posizione, replicando alle accuse infondate di Ciafani.

 

 

Gentile Direttore,

abbiamo letto sul Suo giornale l’intervista di Elena Comelli al Presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, il quale in chiusura annovera i Medici per l’Ambiente fra i “finti ambientalisti” perché si oppongono agli “impianti a biometano, agli impianti di riciclo e alle acciaierie decarbonizzate”.

Sul fatto che ISDE ritenga necessaria e urgente una “transizione” dal fossile alle vere fonti rinnovabili, oggi disponibili, non ci sono dubbi.

Che questa analisi sia condivisa da autorevoli Enti e scienziati è altrettanto vero, soprattutto se si considera che le emissioni globali di metano stanno crescendo ad un ritmo allarmante, 596 milioni di tonnellate nel 2017 (Global Methane Budget) e che la maggior parte di queste emissioni proviene da attività umane come l’agricoltura, la gestione dei rifiuti e l’industria dei combustibili fossili (Agenzia internazionale per l’Energia).

E’ vero anche che la posizione di Ciafani è condivisa da altre associazioni come quella dei produttori europei di biogas, che sostengono l’alto potenziale del biogas per ridurre le emissioni di metano in agricoltura e promuovere lo sviluppo rurale, portando importanti profitti: i piani delle maggiori multiutility vanno esattamente in questa direzione.

Sul territorio nazionale si stanno moltiplicando le domande di installazione di centrali termo elettriche turbogas giustificate dalla necessità di creare una riserva di energia che possa far fronte alle richieste di picco che si potrebbero verificare in caso di criticità. Invece di un ponte per il futuro, questo rappresenta un pericoloso ritorno al passato. Stiamo infatti ancora pagando le conseguenze economiche e ambientali di ritardi nel percorso verso forme di energia sostenibile causate dal decreto “sblocca centrali” del 2002, con il quale si disseminò il nostro Paese di centrali a metano in maniera assolutamente indipendente dalla loro effettiva necessità. Oggi si vorrebbero riproporre errori già commessi in passato. Non ci risulta infatti che ci sia stata una valutazione da parte del Ministero competente dell’effettiva necessità di tali centrali, né dell’eventuale quantità, né che sia stata pianificata la loro eventuale ubicazione. Questo appare ancora più grave in considerazione del fatto che alle emissioni delle centrali-termo-elettriche, anche se con evidenza limitata, sono associati eccessi  di malattie respiratorie, come l’asma bronchiale, tumori della trachea, dei bronchi e dei polmoni (studio Sentieri) e che le richieste riguardano spesso  siti già compromessi dal punto di vista dell’ambiente e della salute.

Quanto agli impianti di digestione anaerobica di biomasse per produrre biometano, è acclarato che questi presentino numerose criticità strutturali, ambientali, agronomiche e sanitarie, e che siano antitetici a quanto avviene normalmente in natura,dove la presenza di ossigeno caratterizza la degradazione della materia organica. Il compostaggio rappresenta il trattamento di elezione per il materiale organico e porta alla formazione di compost, materiale prezioso per restituire fertilità ai suoli contrastando il fenomeno sempre più grave della carenza di materiale organico e del riscaldamento globale, grazie al sequestro di carbonio organico.

È plausibile che la scelta della digestione anaerobica rispetto al compostaggio venga perseguita perché gode di cospicui incentivi, rappresentando un redditizio e sicuro investimento per i gestori. Questi, infatti, ovviamente non considerano i costi esternalizzati negativi, che sono a carico della comunità.

Per quanto attiene le “acciaierie decarbonizzate” (immaginiamo ex ILVA di Taranto), al progetto di mantenerla in attività sostituendo il carbone col metano ISDE ha dedicato uno specifico documento. Se è vero che l’abbandono del carbone come fonte energetica sia un’ovvia necessità, è altrettanto vero che occorre contestualizzare il problema. Diventerebbe così facile capirecome anche la combustione del metano, anch’esso combustibile fossile, inquina e comporta conseguenze ambientali, economiche e sanitarie rilevanti, soprattutto se finalizzato alla produzione di acciaio e all’alimentazione di processi di sinterizzazione. Sarebbe di conseguenza facile capire come purtroppo questa proposta non sia tollerabile in un territorio che da decenni paga costi economici, ambientali e sanitari altissimi e in una regione (la Puglia) da anni in cima alla classifica della produzione di gas clima-alteranti in ambito nazionale.

Secondo l’Energy Watch Group, una rete globale di scienziati e parlamentari senza scopo di lucro,  il gas non è da considerarsi idoneo per la transizione energetica. Nel loro rapporto“Natural Gas Makes No Contribution to ClimateProtection” (anno 2019), affermano che «le emissioni aggiuntive di metano compensano qualsiasi risparmio di monossido di carbonio».

È stato calcolato da autorevoli ricercatori che il passaggio dal carbone al metano garantisce una modesta riduzione della produzione di gas clima-alteranti (circa 17% entro 40 anni). Per contro, emissioni fuggitive pari al solo 8% generano nello stesso periodo solo il 20% in meno delle alterazioni climatiche prodotte dall’utilizzo di carbone in un secolo di operatività.

A proposito di “energie rinnovabili”, ricordiamo che il fotovoltaico converte la luce del Sole in energia elettrica con un’efficienza di circa il 20%, quasi cento volte maggiore dell’efficienza della fotosintesi clorofilliana. Fotovoltaico ed eolico oggi sono le due tecnologie che forniscono energia elettrica ai costi più bassi, anche se accoppiate a sistemi di accumulo (Vincenzo Balzani).

Ci sono molteplici studi che indicano le possibilità tecnologiche di fornire energia a basso costo e abbondante per tutta l’Europa ricorrendo alle risorse rinnovabili.  Sappiamo come fare e ci sono risorse sufficienti per farlo, a patto di accettare che non si può continuare a far crescere esponenzialmente i consumi per sempre (Ugo Bardi).

Ci sembra che la crisi pandemica da Covid-19 debba essere letta con questa lente, che è l’unica che può portare a scelte di ripartenza virtuosa.

Per quanto riguarda poi gli “impianti di riciclo”, ISDE ritiene utili gli impianti preposti al reale recupero della materia, in coerenza con la gerarchia di trattamento dei rifiuti  suggerita dalla stessa Commissione Europea.

Su questi argomenti ISDE ha contribuito con argomenti di merito in varie occasioni e con documenti di approfondimento scientifico (WWW.ISDE.IT). Sulla base di questi, ha proposto a Legambiente un confronto sereno e basato sulle evidenze, anche in considerazione del fatto che spesso a livello locale si trova impegnata sullo stesso terreno con le sezioni locali di Legambiente.

Riteniamo infatti più che mai urgente discutere, senza pregiudizi e con spirito collaborativo, su ciò che è davvero sostenibile e rispettoso dell’ecosistema e della salute umana e animale in accordo con la visione olistica dell’approccio One-Health, riconosciuto dalla Commissione Europea e dal Ministero della Salute italiano. La difficile ma urgente transizione verso un’economia compatibile con la natura ha bisogno di scelte basate sulla valutazione dei benefici netti per la salute e l’ambiente validati dalla scienza indipendente. È anche auspicabile il massimo di coesione tra soggetti a cui i valori sopra enunciati stanno a cuore.

Come indicato dall’IPCC non abbiamo più molto tempo a disposizione per passaggi intermedi che non vadano nella direzione di una drastica riduzione delle emissioni da subito se vogliamo evitare che i drammatici effetti della crisi del clima già in atto diventino irreversibili.

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