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Giovedì scorso il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge delega in materia di “energia nucleare sostenibile”, un provvedimento che apre formalmente la strada al ritorno dell’atomo in Italia dopo i referendum del 1987 e del 2011. Due documenti — uno di Mario Agostinelli, pubblicato su ilfattoquotidiano.it, e l’altro del Forum Disuguaglianze e Diversità coordinato da Fabrizio Barca — denunciano la portata politica, ambientale e democratica di questa scelta.

Secondo Agostinelli, l’impianto del ddl è “fortemente lesivo dei principi costituzionali” e punta a concentrare i poteri decisionali nelle mani dello Stato, escludendo Regioni e Comuni. Il testo attribuisce al Ministero dell’Ambiente il potere di autorizzare e gestire i progetti nucleari tramite un “titolo abilitativo unico”, che ingloba varianti urbanistiche, vincoli e pubblica utilità. La governance prevista, centralizzata e tecnocratica, rievoca il modello di quello che lo scienziato austriaco Robert Jungk definiva “lo Stato atomico”: un sistema fondato sulla segretezza, la sorveglianza e la riduzione della partecipazione democratica.

Il Forum Disuguaglianze e Diversità sottolinea come il disegno di legge sia un cortocircuito logico e scientifico: accostare “nucleare” e “sostenibile” significa ignorare la questione irrisolta delle scorie e i dati economici che ne dimostrano l’inefficienza. Secondo il World Nuclear Industry Status Report 2025, l’energia fotovoltaica costa un terzo di quella nucleare (4 centesimi contro 14 per kWh) e cresce venti volte più rapidamente a livello globale. Anche Bankitalia e Confindustria escludono vantaggi in termini di costi o sicurezza energetica.

Il governo, invece, affida alla nascente società Nuclitalia (Enel, Ansaldo Energia, Leonardo) il compito di coordinare la “filiera italiana delle tecnologie di nuova generazione”, prevedendo campagne di promozione pubblica e consultazioni formali, ma senza un vero dibattito pubblico.

I due testi convergono su un punto: questa riapertura all’atomo contraddice gli impegni climatici dell’Italia e ritarda la transizione verso le rinnovabili, che offrono oggi tempi, costi e benefici incomparabilmente migliori. Come scrive Agostinelli, si tratta di una “svolta senza discussione, che sposta il baricentro dell’energia dalla democrazia territoriale alla centralizzazione autoritaria”, in netto contrasto con l’idea di un’energia pulita, diffusa e partecipata.

La sfida, oggi più che mai, è difendere il principio di precauzione, la salute pubblica e la giustizia climatica, riaffermando la volontà popolare espressa dai referendum e chiedendo trasparenza e confronto su ogni decisione che riguarda il futuro energetico del Paese.