Francesco Romizi, responsabile comunicazione ISDE Italia, ha pubblicato questo articolo sul quotidiano Il Manifesto.
“Negli ultimi anni, numerosi studi hanno dimostrato il legame diretto tra l’inquinamento atmosferico e l’aumento del rischio di malattie cardiovascolari. Un recente approfondimento pubblicato dal Gruppo di lavoro dell’Alleanza Italiana per le malattie cardio-cerebrovascolari evidenzia come l’esposizione cronica a particolato fine (PM2.5), biossido di azoto (NO2) e altri inquinanti possa contribuire allo sviluppo di patologie gravi come infarti, ictus e insufficienza cardiaca.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha più volte lanciato l’allarme: l’inquinamento atmosferico è oggi uno dei principali fattori di rischio per la salute globale, responsabile di milioni di morti premature ogni anno. L’aria che respiriamo, soprattutto nelle aree urbane e industrializzate, contiene particelle nocive che, penetrando nei polmoni e nel sistema circolatorio, possono innescare processi infiammatori e danni vascolari.
Il particolato fine (PM2.5), le polveri sottili di diametro inferiore ai 2,5 micrometri, è particolarmente pericoloso perché riesce a oltrepassare le barriere polmonari ed entrare direttamente nel flusso sanguigno. Questo fenomeno porta a un aumento dello stress ossidativo, infiammazione cronica e disfunzione endoteliale, fattori chiave nello sviluppo di aterosclerosi e ipertensione. Il biossido di azoto (NO2), emesso principalmente dai veicoli a combustione e dalle industrie, è stato associato a un incremento del rischio di eventi cardiaci acuti. Recenti ricerche hanno dimostrato che anche un’esposizione a breve termine a elevate concentrazioni di NO2 può causare vasocostrizione, alterazioni del ritmo cardiaco e un aumento della pressione arteriosa.
I dati epidemiologici sono allarmanti: secondo uno studio pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology, ogni incremento di 10 µg/m³ nella concentrazione di PM2.5 è associato a un aumento del 10% del rischio di morte per malattie cardiovascolari. In Europa, l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) stima che oltre 300.000 decessi annui siano attribuibili all’inquinamento atmosferico, molti dei quali per cause cardiache. Affrontare il problema richiede interventi a più livelli. In primis, le istituzioni devono promuovere normative più restrittive sulle emissioni inquinanti e incentivare l’uso di energie rinnovabili e della mobilità sostenibile.
L’inquinamento dell’aria, quindi, rappresenta un importante fattore di rischio cardiovascolare, al pari di fumo, ipertensione e obesità. I meccanismi fisiopatologici coinvolti, tra cui stress ossidativo, infiammazione sistemica e alterazioni del tono vascolare, sono ormai ben documentati dalla letteratura scientifica. Studi di coorte e analisi confermano che l’esposizione cronica a PM2.5 e NO2 aumenta significativamente il rischio di eventi cardiovascolari maggiori, rendendo l’inquinamento atmosferico un problema di salute pubblica di prima grandezza.
Per mitigare questo rischio, è necessario un approccio integrato che coinvolga sia le politiche ambientali che le strategie di prevenzione medica. Il peso crescente delle malattie cardiovascolari legate all’inquinamento atmosferico impone un cambio di paradigma: la protezione della qualità dell’aria deve diventare un obiettivo prioritario delle politiche sanitarie globali. Solo così potremo ridurre l’impatto devastante delle patologie cardiovascolari e garantire una migliore qualità di vita alle generazioni future.”