Il presidente della sezione ISDE di Napoli, Antonio Marfella, ha scritto sul giornale Il Fatto quotidiano, della situazione nel napoletano in merito alle discariche ad alla bonifica di siti contaminati.
Le discariche oggetto di sversamenti di rifiuti tossici – e i luoghi in Provincia di Napoli nei quali sono state realizzate – si distinguono per tre caratteristiche tecniche-strutturali, alla base del danno alla salute dei cittadini residenti nelle aree circostanti:
1) Non hanno mai avuto alcuna autorizzazione quali impianti di discarica a norma. La struttura tipica per una discarica, ancorché molto semplificata, prevede infatti un fondo passivo di argilla e di isolamento plastico (geomembrana), uno strato di sabbia o altro materiale con proprietà simili per l’assorbimento e il recupero del percolato, uno strato superficiale di terreno per la copertura e la crescita delle piante ed i sistemi di raccolta, controllo e stoccaggio o trattamento delle emissioni (biogas e percolato). L’assenza di questi requisiti tecnici essenziali ha determinato il danno alla salute ormai certificato dagli studi epidemiologici cosiddetti “ecologici” da parte dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) a partire dal 2007 (“Studio Bertolaso”) sino alla relazione per la Procura di Napoli nord relativa al solo territorio di competenza della Procura (febbraio 2021).
2) Esiste una importante presenza di falde acquifere superficiali che sprofondano dal cono del Vesuvio Somma sino a Villa Literno, scorrendo lungo la sottostante colata lavica che risale all’eruzione delle “pomici di Avellino” di circa 15mila anni fa. (…)
3) Nelle zone dove hanno operato i clan dei Casalesi, le discariche tossiche si caratterizzano per il tombamento profondo dei rifiuti industriali e tossici allo scopo di garantire la coltivazione in superficie di prodotti agroalimentari (esempio pomodori) che non vengono contaminati per la presenza di un importante strato di terreno “pulito” al di sopra dei rifiuto tossici sversati. (…)
La Regione Campania ha già individuato e trasmesso al Commissario Vadalà un elenco di cinque siti in cui sono già state avviate azioni di bonifica ma si limitano alla sola Provincia di Caserta.
Nel corso di questi anni di intensa attività dei prefetti Di Bari e Silvestro (“non siamo all’anno zero”), anche prima della sentenza Cedu, si era riusciti a concordare un importante avvio di azioni concrete allo scopo quanto meno di mettere in sicurezza alcune dei principali siti inquinati a maggiore rischio di danno alla salute pubblica. In relazione ai dati epidemiologici già a disposizione per i territori con discariche con le caratteristiche su riportate e considerando altresì che gli sversamenti provenienti da fuori regione si sono sostanzialmente interrotti nel 2015 con le leggi penali ambientali e con la fine delle attività criminali dei Casalesi, va quindi considerato che:
a) I dati epidemiologi peggiori, ad esempio la mortalità, sono stati registrati dal 2006 al 2014 nel territorio nolano-acerrano a conferma della pericolosità della maggiore superficialità delle falde acquifere e di una azione di sversamento di rifiuti tossici addirittura antecedente a quella dei Casalesi. Ciò comporta quindi la necessità di una attenzione maggiore per bonifiche e/o messa in sicurezza delle discariche che si trovano lì (esempio Tufino-Paenzano 1 e 2, Calabricito), oltre alla bonifica definitiva di siti inquinati orfani particolarmente pericolosi per la presenza di falde acquifere superficiali, certificate ancora pesantemente contaminate nel 2022 (ARPAC) dopo l’incendio del 1995. (…)